Tuesday, September 2, 2014

2014.09.02

Anna Sofia, Sfingi e Sirene. La presenza egizia nella Sicilia greca del V sec. a.C.: testimonianze nella commedia dorica e nel mimo. Sacra publica et privata, 4. Roma: Scienze e lettere, 2013. Pp. xii, 247; 7 p. of figures. ISBN 9788866870401. €40.00 (pb).

Reviewed by Angela
Bellia, Università di Bologna; New York University (angela.bellia@unibo.it)

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Scopo di questo lavoro è lo studio dei legami culturali intercorsi tra la fine del VI e durante il V sec. a.C. tra l’Egitto e la Sicilia orientale greca. Per la sua ricerca l’autrice, oltre a prendere in considerazione la documentazione archeologica e le fonti figurative in relazione alla
presenza egizia in Sicilia, ed in particolare nell’ambiente siracusano, sceglie di indagare ciò che si conserva della produzione dei due più significativi rappresentanti della commedia dorica e del mimo: Epicarmo e Sofrone. L’esame condotto sui loro frammenti da Anna Sofia, che si avvale per
l’accurata indagine della sua duplice formazione di egittologa e di filologa classica, rivela infatti che è possibile rintracciare non soltanto l’orizzonte mitico e culturale ma anche quello quotidiano dei loro fruitori.

Nel capitolo primo (‘Immaginario mitico di ascendenza egizio-orientale in Epicarmo’) l’autrice indaga sia sul rapporto tra i Dinomenidi e la loro politica espansionistica con la lirica corale e la tragedia a fini propagandistici, sia sul possibile ruolo del teatro comico al sostegno della
ricerca del consenso alla politica imperialistica dei tiranni sicelioti. Infatti Epicarmo, attivo sotto i Dinomenidi, potrebbe aver assimilato e riproposto in chiave parodica argomenti mitici in linea con la propaganda di regime, tuttavia talora adottando un atteggiamento di distacco e di
‘disimpegno politico’ verso la dynasteia. Questa contraddittorietà dell’esponente della commedia dorica spiegherebbe la produzione di temi sensibili per l’ideologia della tirannide accanto a quelli legati a personaggi comuni e alla loro vita quotidiana (3-12). È soprattutto in questo
filone che Sofia rintraccia il riferimento a numerosi elementi di provenienza egizio-orientale, probabilmente dovuti ai legami storico-politici della Sicilia con l’Egitto e rispondenti alle attese del pubblico della Siracusa nell’età di Ierone. Due sono in particolare i titoli epicarmei,
Sirene e Sfinge, che se da un lato appaiono connessi con l’orizzonte culturale del pubblico siracusano, dall’altro richiamano miti di mostri o di esseri semidivini di origine egizia (25-39). Oltre al legame delle Sirene con il mondo ctonio e con il culto dei morti, evidente
nell’iconografia di questi esseri ibridi importata dall’Egitto per il tramite dell’arte greco-orientale, la stretta connessione tra esse e il mondo egizio-africano con l’ambiente siceliota è richiamata dal rinvenimento di numerosi oggetti che le raffigurano (27). In alcuni di questi le Sirene
sono impegnate a suonare strumenti musicali a fiato o a corde, 1 presenti in Sicilia anche in amuleti di fattura cipro-naucratide legati al mondo dei morti, forse indizio di un possibile sincretismo religioso tra il mondo egizio, dove era presente un’entità divina simile alle Sirene, e
la Sicilia orientale.

Anche nella Sfinge Epicarmo potrebbe aver rielaborato in chiave parodica un mito — che avrà grande fortuna nel teatro ateniese — il cui protagonista è un mostro a testa umana con ascendenze egizio-orientali, presente in Sicilia sia come elemento decorativo architettonico 2
sia nella ceramica attica a figure nere e rosse (34-39). Del contenuto della commedia si può soltanto ipotizzare che alludesse ad un canto eseguito con l’aulos e a tematiche gastronomiche. Queste ultime sono richiamate anche nei frammenti epicarmei delle Muse e ancor più nelle Nozze
di Ebe
che abbondano di riferimenti alle specie ittiche nilotiche ( 39-51): c’è da immaginare, secondo l’autrice, che esse fossero ben conosciute anche dal pubblico siracusano, che con le prelibatezze provenienti dal mare doveva avere grande familiarità.

È di grande interesse — perché aiuta a comprendere il fenomeno di assimilazione di pratiche magiche e cultuali nella Siracusa di Epicarmo — la lista di oggetti elencati nella commedia intitolata Osservatori, dove sono presenti riferimenti all’uso di anathemata
egittizzanti3 che Sofia considera manifestazione della religiosità di piccole comunità semitiche o rodio-cipriote che commerciavano con i centri sicelioti, o dell’adozione di valori cultuali di origine egizia, forse diffusi a livello popolare (51-52). Ne costituirebbe un’ulteriore
testimonianza anche la diffusione sia nella Sicilia orientale sia in quella occidentale di raffigurazioni riconducibili a Bes, ‘demone curotrofo’ di origine egizia (56-57). La presenza della divinità documenta che, sin dall’età arcaica e poi per tutta l’età ellenistica, la Sicilia ebbe un ruolo
determinante all’affermazione dei culti egizi non soltanto nel mondo siceliota, ma anche nella penisola italica e poi nell’impero romano.4

Nel secondo capitolo (‘Riflessi di rapporti politici e commerciali nella commedia dorica siciliana’) l’autrice analizza Busiride commedia epicarmea di grande interesse per capire l’immagine dell’Egitto in ambiente siracusano, che ha come protagonista il leggendario faraone ritenuto
crudele, sanguinario e xenofobo. Il mito ebbe fortuna nella grecità d’Occidente a testimonianza dell’attenzione rivolta verso gli eventi politici in Egitto e i suoi protagonisti. La commedia, sottolinea l’autrice, affronta un tema carico di suggestioni storico-culturali in relazione all’Egitto che
permettono di riflettere sulla concezione della regalità faraonica nella Sicilia orientale, ponendo un confronto tra l’esperienza della tirannide siceliota e la tradizione politica regale egiziana che spiegherebbe la diffusione letteraria del mito e della sua rappresentazione, già nel VI sec.
a.C., nella ceramica attica rinvenuta in Sicilia (61-80).

L’orizzonte d’attesa ‘egittologico’ del pubblico di Epicarmo si può cogliere anche nella commedia Eracle alla conquista del cinto, nella quale la presenza di minuscoli Pigmei che combattono enormi scarabei ‘etnei’ hanno lo scopo di creare l’effetto di distorsione comica e di
rispecchiare uno scenario ‘esotico’ dal colorito egizio-orientale congeniale al gusto del pubblico e alla predilezione per l’ambientazione africana ( 80-83). Tali suggestioni sono ben chiare nella commedia se si considera sia il ruolo ricoperto dai Pigmei africani nella società e
nell’immaginario egizi già dall’Antico Regno, sia la funzione religiosa e di intrattenitori del faraone e della sua corte con danze ed acrobazie ( 85).5

Il terzo capitolo (‘L’Egitto nel mimo dorico siracusano del V sec. a.C.’) esplora un genere di rappresentazione popolare che traeva linfa da tematiche connesse alla società contemporanea e a scenette di vita quotidiana che acquisirono dignità artistica con Sofrone nella seconda metà del V sec.
a.C. (131-141). Si trattava di forme di improvvisazione che presentavano affinità con la commedia epicarmea. Da esse è possibile ricavare notizie su aspetti della religiosità nilotica conosciute nell’ambiente siracusano. Ne sono un esempio sia il riferimento, come in Epicarmo, a spezie e specie
ittiche, sia a prodotti della farmacopea. Questi ultimi potrebbero rivelare fenomeni di sincretismo tra magia popolare sicula e nozioni di farmacopea egizia, veicolate dapprima attraverso la diffusione di amuleti egizi ed egittizzanti, poi tramite la presenza in diversi luoghi della Grecità
occidentale — ricordata dalle fonti scritte— di sacerdoti-maghi itineranti ( 141-142), esuli dall’Egitto caduto sotto la dominazione persiana e accolti con favore per la fama connessa ad una pratica medica millenaria. L’infiltrazione di elementi di magia egizia nella cultura popolare tramite i
preti-maghi troverebbe riscontro nella produzione di Sofrone. Un esempio potrebbe essere offerto nel mimo Le donne che dicono di scacciare la dea, forse connesso con un sortilegio amoroso (158-159).

Dall’attento studio di Anna Sofia emerge un quadro ampio dei contatti e degli scambi intercorsi tra l’Occidente greco e l’Egitto che arricchisce, come sottolinea l’autrice nelle ‘Conclusioni’ (177-181), non soltanto gli studi e le ricerche storiche, archeologiche e storico-religiose, ma anche
l’orizzonte relativo alle tradizioni storiografiche e ai miti rielaborati dalla commedia dorica siciliana e alle aspettative del suo pubblico.




Notes:



1.   Alla documentazione figurativa raccolta dall’autrice ( 26-27) si possono aggiungere le rappresentazioni di Sirene suonatrici rinvenute nella Sicilia orientale. Cfr. A. Bellia, Coroplastica con raffigurazioni musicali della Sicilia greca (VI-III sec. a.C.), Pisa-Roma,
Fabrizio Serra, 2009, p. 132, n. 330; p. 148, n. 368 e p. 168.

2.   Cfr. C. Marconi, Temple Decoration and Cultural Identity in the Archaic Greek World, Cambridge, University Press, 2007, p. 90.

3.   Cfr. G. Sfameni Gasparro, I culti orientali in Sicilia, Leiden, Brill, 1973. .

4.   Uno sguardo alle testimonianze presenti in Sicilia sono in E. De Miro, "La Sicilia e l’Egitto nel periodo ellenistico-romano. Sintesi e nuovi dati ," Mare internum I (2009)85-98.

5.   D. Castaldo, "Iside sulle sponde del Tevere. Presenze africane nella musica di età romana" in (a cura di) A. Bellia, Musica, culti e riti nell’Occidente greco, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2014, pp. 315-323.

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