Wednesday, November 17, 2010

2010.11.28

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Bradford Vivian, Public Forgetting: the Rhetoric and Politics of Beginning Again. University Park, PA: Pennsylvania State University Press, 2010. Pp. x, 212. ISBN 9780271036656. $60.00.

Reviewed by Luigi Spina, University of Naples Federico II

Nel volume che qui si recensisce, Vivian affronta un tema per molti aspetti cruciale: il ruolo della memoria collettiva, sociale, pubblica come prodotto di una pratica retorica e politica. Lo scopo dell'autore, però, non è quello di fornire un'ulteriore, scontata conferma di tale ruolo, bensì quello di verificare la possibilità e l'utilità di una corrispettiva pratica pubblica della dimenticanza ('public forgetting'). Il volume, dopo una chiara e motivata introduzione (1-16), si articola in due parti distinte: più contenuta la prima, 'Forgetting in Public Life: An Idiomatic History of the Present', due capitoli per una quarantina di pagine (19-60); più estesa la seconda, 'Public Forgetting: Alternate Histories, New Heuristics', ulteriori quattro capitoli per oltre cento pagine (63-167). Seguono ampie conclusioni (167-181), note, bibliografia e indice.

Le due parti del volume servono: la prima, a fissare i punti teorici relativi alla originale presa di posizione dell'autore, che vuole rovesciare le valenze positivo vs negativo, attribuite rispettivamente alla memoria e alla dimenticanza, con le conseguenti metaforizzazioni vita-morte, conservazione-distruzione; la seconda, a portare esempi concreti e storicamente individuabili dell'utilità di una dimenticanza fissata con validi strumenti retorico-politici e orientata al ricominciare.

Prima di riferire sul contenuto dei singoli capitoli, vorrei riportare alcune frasi-chiave di Vivian, che scandiscono il percorso del saggio, funzionando contemporaneamente come ipotesi da verificare e come risultato verificato: 'Forgetting, in logical terms, no more guarantees the repetition of past injustices than memory ensures their prevention' (9); 'The activity of remembering can unwittingly induce forms of forgetting, and forgetting can be an instrument of remembering' (10); 'not all forms of forgetting connote passivity, loss, ruination, or death in the context of public affairs' (17); 'Only by forgetting the past as it once was will humanity achieve enlightenment as it should be' (101); 'Every history implicitly or explicitly argues that the public should remeber some elements of the past and forget others, all the while supplying a ready idiom with which it may do so' (111); 'Public forgetting also provides more general insight into a dilemma characteristic of both modernity and late modernity: the dilemma of how social and political bodies can most auspiciously end the regimes of old and bring into being new and ideally freer forms of community' (170); 'The value of public forgetting so conceived lies not in achieving ideal ends, some form of permanent order, but in the strategically invoked ideal of beginning again -- an inauguration accompanied neither by naiïve negation of the past nor by utopian anticipation of an untroubled future' (171). In particolare nelle ultime due citazioni appare il terzo elemento che chiude il cerchio di 'remembering' e 'forgetting', dando loro senso e scopo: 'beginning again'.

Nel primo capitolo, 'The Two Rivers, Past and Present' (19-38), Vivian cerca nelle culture antiche, greca e romana in particolare, le radici della retorica di memoria e dimenticanza, intendendo appunto per retorica gli argomenti legati ai tropi e alle figure che hanno accompagnato, nella cultura occidentale, la valorizzazione della memoria a scapito della dimenticanza e dell'oblio. Se cultura pagana e cristiana sembrano alleate nell'incrementare i sospetti nei riguardi della dimenticanza, la storia della letteratura occidentale, da Dante fino a Schiller e oltre, assegna a Lethe il compito della cancellazione, dell'annullamento dei ricordi. Nella scia del ben noto saggio di Harald Weinrich dedicato a Lethe,1 Vivian passa in rassegna le riflessioni del pensiero filosofico occidentale sul tema, fino alle teorie psicoanalitiche e alle sistematizzazioni storiografiche del Novecento nate dai drammatici eventi della seconda guerra mondiale e dall'Olocausto. L'analisi critica di questa documentazione porta all'esigenza di scoprire l'interazione fra ricordo e dimenticanza, piuttosto che accentuarne la dialettica oppositiva, prigioniera ancora di una vecchia retorica della memoria in antitesi con la dimenticanza. Col secondo capitolo, 'Forgetting without Oblivion' (39-60), Vivian tende a recuperare i momenti positivi di alcune forme di dimenticanza che non vanno confusi con la cancellazione distruttiva dell'oblio. In tal senso una ars oblivionalis si affiancherebbe alle artes memoriae con l'intento, per dirla con Umberto Eco, di 'porre i principi non per ovviare ma per produrre il deterioramento della traccia attraverso un progetto volontario'.2 L'assonanza lessicale fra 'forget e 'forgive' introduce l'elemento etico, ma anche politico, che fa intravedere la finalizzazione positiva della dimenticanza, che si pone non necessariamente come antonimo della memoria, ma come pratica pubblica organizzata, capace di modellare il pensiero storico e le stesse culture della memoria. Memoria, dunque, si pone come forma della dimenticanza, e dimenticanza come mezzo per riclassificare il contenuto della memoria. Da questo punto di vista, amnesia, col corrispettivo 'politico' amnistia, può essere sostituito in questo processo, con migliori risultati, da pratiche di abbandono, 'neglect', perdendo così il carattere puramente distruttivo dell'oblio. Anche in questo capitolo Vivian dialoga con significativi esponenti del pensiero moderno e contemporaneo, nei quali ritrova utili spunti per portare avanti la sua tesi: Nietzsche, Foucault, Hannah Arendt fra gli altri. Si segnalano le linee-guida dello 'adattamento', della 'contromemoria', della 'natalità', cioè del 'ricominciare'. In tal senso, mi è parso di ritrovare fenomeni mentali e retorici paragonabili all'esperienza letteraria dell'ucronia, che consiste nel rimodellare il presente modificando il passato in un punto-chiave, a partire dal quale il mondo va in modo diverso.3 Come l'ucronia, anche la pubblica dimenticanza, nelle modalità indicate da Vivian, evita il pericolo del revisionismo storico, o peggio del negazionismo, affermando, invece, la possibilità di rileggere antagonismi e trasgressioni come se fossero stati dimenticati o messi da parte, abbandonati.4 Nella conclusione del secondo capitolo, Vivian distingue due modelli possibili del 'forgetting': quello pericoloso e dannoso, che si accompagna alle forze della violenza e della repressione--e qui sarebbe quasi d'obbligo il rinvio ad alcune pagine di 1984 di George Orwell--e quello più attento e meno rischioso che rilegge il passato, fra memoria e dimenticanza, ricavandone lezioni etiche e politiche adeguate alle relazioni sociopolitiche del presente.

Nei quattro capitoli della seconda parte del volume, Vivian affronta quattro casi specifici del secondo modello, dialogando non più con filosofi o storici, ma partecipando criticamente, per così dire, a eventi o momenti culturali della storia più o meno recente nei quali la retorica della dimenticanza è stata messa alla prova. Il terzo capitolo, 'Hallowed Ground, Hollow Memory: Rhetorical Form and Commemorative Politics on September 11, 2002' (63-88), è dedicato alla cerimonia che si svolse a New York nel primo anniversario del tragico 11 settembre 2001. Il modello dell'epitaffio pericleo 'restituito' da Tucidide (II,35.1-46.2) per i caduti del primo anno della guerra del Peloponneso offre a Vivian una polarità di riferimento, quella fra parole e azioni, per cogliere differenze e somiglianze nella forma epidittica che accomuna i discorsi celebrativi dei due eventi.5 Anche se Pericle, come ricorda Vivian, denunzia inizialmente l'inadeguatezza delle parole rispetto ai fatti che devono essere celebrati, va notato, però, che lo stesso oratore, al termine del suo discorso, restituisce dignità alle parole pronunziate, che ora assumono lo stesso valore e peso del gesto eroico dei caduti, in quanto rivolte ai superstiti. Ma i discorsi dell'11 settembre 2002, riproposizione di canonici discorsi tenuti in momenti cruciali della storia degli Stati Uniti, furono un esempio, negativo, di 'neoliberal epideictic', incapace di indicare un modo di ricominciare in un nuovo contesto, capace solo di offrire il pathos della memoria ma dimenticando difficoltà, complessità e novità della situazione, che richiedeva nuove responsabilità da parte del corpo civico. La retorica priva di etica dell'epidittica neoliberale spinge Vivian a proporre, nei successivi tre capitoli, esempi di una dimenticanza che porta, invece, a leggere in modo nuovo il passato, per ricominciare in forme nuove. La dimenticanza storiografica è al centro del quarto capitolo, 'Historical Forgetting: John W. Draper and the Rhetorical Dimension of History' (89-111); la dimenticanza culturale, in senso antropologico, tematizza il quinto capitolo, 'Cultural Forgetting: The "Timeless Now" of Nomadic Memories' (112-132); la dimenticanza morale e politica il sesto capitolo, 'Moral and Political Forgetting: Abraham Lincoln's Gettysburg Address and Second Inaugural' (133-167). Si tratta di tre approfondite analisi nelle quali Vivian ha modo di verificare in forma concreta e pratica il suo assunto, che viene ribadito nelle conclusioni.

Il volume di Vivian si raccomanda, quindi, per la chiarezza dell'ipotesi e delle analisi finalizzate alla sua verifica e potrà interessare studiosi di diverse aree: storici, filosofi, antropologi, studiosi della comunicazione, politologi. Gli studiosi del mondo antico troveranno pochi, se pur necessari riferimenti, e anche se rileveranno qualche refuso di troppo,6 potranno utilmente approfondire i rinvii a esperienze fondanti delle culture antiche sul tema della memoria e della dimenticanza.7 Ma qualche considerazione va aggiunta nel concludere questa recensione, per testimoniare ulteriormente l'interesse del tema. Come sottolineavo all'inizio, la politica e la retorica della dimenticanza ricevono senso e valore dalla finalità del ricominciare, del 'beginning again'. Si tratta di quello che un maestro della psicanalisi italiana, Giovanni Jervis, ha chiamato 'ricordare al futuro': la rielaborazione del passato e dei suoi traumi non equivale a ricordarli una volta per tutte e secondo le stesse modalità; al contrario, occorrerebbe ripensarli con un occhio al futuro attraverso una dimenticanza volontaria, attraverso una nuova capacità di inventio, di argomentazioni ed eleborazioni, collettive e propositive. A questa pratica, a questa sfida della passione e della ragione, è stato dato il nome di ' 'resilienza'.8 Ma ne troviamo una traccia nelle ultime parole di Geronimo Goyathlay (1829-1909), condottiero dei Chirichua Apache, quando pensa alla possibilità che il suo popolo ritorni nei territori nativi dell'Arizona: 'Could but I see this accomplished, I think I could forget all the wrongs that I have ever received, and die a contented and happy old man'.9 Si è disposti a dimenticare solo a patto che si possa ricominciare davvero.



Notes:


1.   H. Weinrich, Lethe: Kunst und Kritik der Vergessens. München, Beck, 1994; trad. it., Lete: Arte e critica dell'oblio. Bologna: il Mulino 1999; Vivian utilizza la trad. ingl., Lethe: The Art and Critique of Forgetting. Ithaca: Cornell Univ. Press, 2004.
2.   Cito dalla lezione inaugurale tenuta da Umberto Eco nella nuova sede di Firenze dell'Istituto Italiano di Scienze Umane il 19 maggio 2006 e pubblicata sul quotidiano italiano 'la Repubblica', il 20 maggio 2006 (1,42-43), intitolata: 'Piccola lezione sull'arte di dimenticare' fuoriregistro.
3.   Per una riflessione sull'ucronia, rinvio a L. Spina, 'La storia riscritta: origini antiche dell'ucronia?', in Quaderni di Storia' 72, 2010, 197-219.
4.   Giustamente, anche se solo in nota (184 nota 6) Vivian ricorda il classico precedente greco delle forme di amnistia e dimenticanza, il decreto ateniese del 403 a.C. dopo la cacciata dei Trenta, che conteneva la famosa formula del μὴ μνησικακεῖν, che può essere interpretata, nel contesto, come: 'non rivendicare contro qualcuno i mali subiti'. Per una più aggiornata bibliografia sull'argomento, rinvio a L. Spina, 'Il trapianto del trauma: la memoria condivisa del male', in I Quaderni del ramo d'oro on-line', 2, 2009, 192-203. I Quaderni del ramo d'oro on-line; M. Moggi, 'Strategie e forme della riconciliazione: μὴ μνησικακεῖν', in I Quaderni del Ramo d'Oro on line, 2, 2009, 167-191 I Quaderni del Ramo d'Oro on line.
5.   Segnalo un contributo recente che tenta invece un'analisi comparativa dell'epitaffio pericleo e del discorso di R. Giuliani, sindaco di New York, a ridosso del tragico evento: C. Pepe, 'Civic Eulogy in the Epitaphios of Pericles and the Citywide Prayer Service of Rudolph Giuliani', in Advances in the History of Rhetoric 10, 2007, 131-144.
6.   P. 184, nota 1: Herennium e non herennium (così anche in bibliografia, p. 200); Institutio oratoria e non Institutione oratoria; da segnalare anche che Vivian alterna, per gli autori antichi, titoli tradotti e titoli in originale.
7.   Un rilievo di carattere bibliografico, che riguarda spesso la saggistica anglosassone , concerne la scarsa presenza di rinvii a contributi in italiano, al di là del meritorio volume di Lina Bolzoni, La stanza della memoria. Torino: Einaudi, 1995. Stupisce anche l'assenza di riferimenti alle riflessioni di Jan Assmann sulla memoria culturale (J. Assmann - T. Hölscher, Kultur und Gedächtnis. Frankfurt/M: Suhrkamp, 1988; J. Assmann, Das kulturelle Gedächtnis. Monaco: Beck, 1992).
8.   Molto appassionante e ricco di testimonianze è un recente contributo sul tema di B. Cyrulnik, Autobiographie d'un épouvantail. Paris: Odile Jacob, 2008; trad. it. Autobiografia di uno spaventapasseri. Milano: Cortina, 2009.
9.   Cito da T. Breverton, Immortal Last Words. London: Quercus, 2010, 208.

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