Sunday, January 3, 2010

2010.01.03

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Luis Rivero García, Juan A. Estévez Sola, Miryam Librán Moreno, Antonio Ramírez de Verger (ed.), Publio Virgilio Marón. Eneida. Volumen I (Libros I-III). Alma mater. Madrid: Consejo Superior de Investigaciones Científicas; Tirant lo Blanch, 2009. Pp. 514. ISBN 9788498765090. €34.00.
Reviewed by Giampiero Scafoglio, Università di Salerno

Se il terzo millennio si è aperto nel segno di un approccio complessivo col poeta più studiato di tutti i tempi, un approccio tentato per diversi percorsi e con pari successo da Antonio La Penna, Michael von Albrecht e Niklas Holzberg (cf. le mie recensioni su questa stessa rivista), un'edizione completa dell'Eneide è conseguenza naturale dell'esigenza di dare una sistemazione alla sterminata bibliografia virgiliana, di inquadrarla in una visione d'insieme. Si pone però il problema dello spazio necessario per commentare il poema libro per libro, uno spazio che deve essere proporzionato al lavoro critico svolto negli anni o almeno ai risultati di maggior rilievo. Da tali considerazioni scaturisce la scelta di soffermarsi su singole parti dell'opera per poterne approfondire adeguatamente le problematiche, anche alla luce della relativa bibliografia, come hanno fatto di recente Pier Vincenzo Cova per il libro III (Milano 1994) e Nicholas Horsfall per i libri VII (Leiden 2000), IX (ibidem 2000), III (ibidem 2006) e II (ibidem 2008); più sintetici e selettivi, ma non meno importanti, i commenti di Philip Hardie al libro IX (Cambridge 1994), di Stephen Harrison al X (Oxford 20022) e di Lee Fratantuono all'XI (Bruxelles 2009). Un'edizione completa tende invece ad abbracciare l'Eneide nella sua interezza, rinunciando necessariamente ad affondare verticalmente nelle pieghe della narrazione, nella struttura e nelle sfumature di scene e immagini, nella costruzione talvolta audace e nella pregnanza semantica delle iuncturae. Una tale rinuncia tuttavia deve essere ripagata dall'ampiezza della prospettiva, dall'attenzione lungimirante per la concatenazione delle vicende che si illuminano reciprocamente, anche a distanza. Queste sono le aspettative suscitate dalla nuova edizione dell'Eneide con introduzione, traduzione in lingua spagnola e note, pubblicata nell'elegante veste editoriale della collana Alma Mater.

L'opera si apre con un'ampia introduzione (pp. XIII-CCXVI, compresa una sintetica rassegna bibliografica) paragonabile a una vera e propria monografia, che prende le mosse dalla Vita Vergilii di Donato-Svetonio e abbraccia le Bucoliche e le Georgiche, oltre che l'Eneide, con le principali tematiche critiche (genere letterario, rapporti con i modelli, etc.). La trattazione delle Bucoliche e delle Georgiche (capp. II e III, di J. A. Estévez) è equilibrata e documentata, come quella riguardante l'architettura dell'Eneide (cap. V, di A. Ramírez). Notevole lo spessore dei capitoli IV e VI (di M. Librán), rispettivamente sui rapporti con i modelli e sul carattere dei personaggi, interpretati con l'aiuto di schemi di fondo attinti da testi teorici come la Retorica e la Poetica di Aristotele. Sarebbe stato preferibile però invertire l'ordine dei capitoli IV e V, anteponendo quest'ultimo come propedeutico all'altro, in modo da delineare un percorso di approfondimento progressivo.

Il capitolo sullo stile (VII, di L. Rivero) è senz'altro apprezzabile rispetto a un argomento notoriamente difficile, che non si lascia esaurire in un discorso sintetico, tanto più che fino a oggi manca un contributo complessivo sul linguaggio virgiliano (specialmente le Georgiche restano ancora in ombra da questa angolazione). Quindi non si possono biasimare i limiti (peraltro non gravi) del capitolo ad hoc. Per esempio, si registra qualche carenza nella ricognizione delle figure retoriche: tra le proposizioni parentetiche (pp. CXXIV-CXXV) non è annoverata una delle più articolate e dense di informazioni, I, 25-28 (le cause dell'ira di Giunone); tra le apostrofi (pp. CXXV-CXXVI) manca quella pregnante, pur viziata da una punta di enfasi, X, 501-505 (nescia mens hominum etc.), con la profezia della morte di Turno; nella tipologia della traiectio (pp. CXXIX-CXXX) non è contemplata quella indicante la separazione e la lacerazione interiore (come Buc. I, 3, dulcia linquimus arua; Aen. IV, 281, dulcisque relinquere terras). Per il linguaggio bucolico poteva essere utile M. Lipka, Language in Vergil's Eclogues, Berlin-New York 2001; sull'enallage cf. la dettagliata discussione di G. B. Conte, Virgilio. L'epica del sentimento, Torino 20072, pp. 5-63.

Il capitolo VIII (anch'esso di L. Rivero) riguarda l'influsso di Virgilio sull'epos augusteo e imperiale da Ovidio a Silio Italico: è messa in luce, sia pur sinteticamente, la tensione tra aemulatio e opposizione ideologica (nel caso di Lucano) o tra aemulatio e ricerca di autonomia concettuale e stilistica (soprattutto per Ovidio, Valerio Flacco e Stazio). La presentazione della tradizione manoscritta e delle edizioni dell'Eneide (capp. IX e X, di J. A. Estévez) è precisa e accurata. Ai codici descritti dagli editori precedenti è aggiunto l'Ausonensis 197 (o) del secolo XI, la cui collazione più completa si deve a M. Librán (ExClass 9, 2005, pp. 22-73). Tra i frammenti papiracei ne sono aggiunti due non recensiti da Geymonat (P.Oxy. 50, 3553; P.Oxy. 50, 3554), che non apportano però contributi rilevanti al testo virgiliano.

Il testo poetico con apparato critico (curato da A. Ramírez, che si è valso dell'esame dei manoscritti svolto da J. A. Estévez), come è ovvio, non si stacca sensibilmente da quello fissato dai più recenti editori, Mynors e Geymonat. L'incipit alternativo ille ego qui quondam è considerato interpolato, non diversamente dalla scena di Elena (II, 567-588), chiusa tra parentesi quadre. Il brano tramandato dal Seruius auctus ad Aen. III, 204 (tre versi da inserire tra i vv.204 e 205 del libro III) è escluso dal testo e relegato nell'apparato critico. Su qualche punto si può discutere. I, 2: la lezione Lauinaque del Romanus e di Macrobio (Sat. V, 2, 8) è preferita a Lauiniaque del Mediceus e del Veronensis, stampata sia da Mynors che da Geymonat; tuttavia la prima è probabilmente lectio facilior, nata da una correzione della seconda metri causa. Il v.426 del libro I è spostato prima del v.369 con Campbell e Goold (cf. E. Courtney, BICS 28, 1981, p. 17); ma tale operazione richiederebbe una motivazione forte, che non è stata ancora addotta. II, 44, sic notus Ulixes: meglio il punto interrogativo (coerentemente con la frase precedente: ulla putatis | dona carere dolis Danaum?) che quello esclamativo. Difficile decidere al v.360 del libro III, dove la lezione manoscritta tripodas (Mynors, Geymonat: qui tripodas Clarii et laurus) è sostituita dalla congettura tripoda ac (Mackail, Goold: qui tripoda ac Clarii laurus).

La traduzione in lingua spagnola, in versi liberi (di L. Rivero), tende a riprodurre la consistenza verbale, la struttura sintattica e la sostanza semantica della poesia latina, almeno nei limiti del possibile. Ecco come è reso un brano complesso e pregnante tratto dal proemio, segnatamente la protasi (vv.1-7): "Canto a las armas y al varón que primero desde las costas de Troya | prófugo por el destino a Italia llegó y las lavinas | riberas, muy zarandeado en tierras y honduras del mar | de violencia de dioses, por la rencorosa ira de Juno sañuda, | y mucho habiendo pasado también en la guerra, hasta fundar la ciudad | y llevar sus dioses al Lacio, de donde la raza latina, | los padres albanos y los muros de Roma la alta". La traduzione è indubbiamente efficace, ma qualcosa inevitabilmente si perde da una lingua polisemica e ricca di sfumature come quella virgiliana. Nella parte appena citata la suggestiva enallage memorem... iram è sostituita dalla perifrasi più semplice e quasi tautologica "rencorosa ira". D'altronde lo sforzo di restituire gli espedienti stilistici coglie spesso nel segno, come dimostra la costruzione dell'anafora nell'incisiva sintassi delle parole pronunciate dall'arpia Celeno (III, 247-249): bellum etiam pro caede boum stratisque iuuencis, | Laomedontiadae, bellumne inferre paratis | et patrio Harpyias insontis pellere regno? ~ "Guerra además, en pago por la muerte de los bueyes y por los terneros abatidos, | laomedontíadas, guerra os disponéis a lanzar | y a expulsar del reino patrio a las Harpías que nada os han hecho?".

Le note (a cura di M. Librán) contengono informazioni mitologiche, storiche e letterarie, necessarie per comprendere la narrazione e per coglierne la rete di relazioni con la poesia precedente, soprattutto con l'epos omerico. Per evidenti esigenze di sintesi, questo commento si attesta sul registro divulgativo e soltanto di rado attinge un livello di approfondimento scientifico. I loci similes sono segnalati puntualmente ma cursoriamente, senza discussione né analisi comparativa. Per esempio, in margine al v.1 del libro I sono citati i due modelli che vi si intrecciano (Od. I, 1; Ilias parua 1 Bernabé), ma non è spiegata neppure brevemente la loro interazione (penso al fatto che Virgilio 'corregge' Omero col ciclo epico, in quanto si assume consapevolmente l'onore-onere del canto, rivendicando il proprio ruolo di poeta). Qua e là vi è qualche inesattezza. Il lemma fato profugus (I, 1) è ricondotto al legame di sangue tra Enea e lo spergiuro Laomedonte, con riferimento a Georg. I, 501-502: spiegando così l'esilio dei superstiti troiani si rischia però di sottovalutare e perfino di fraintendere il significato del destino nel poema. Nemmeno un accenno ad alcuni problemi esegetici, come quello riguardante il sintagma ducente deo (II, 632). Talvolta è avanzata qualche spiegazione semplicistica, come nella nota 1 p. 101 su gentem | immeritam (III, 1-2), secondo cui il popolo troiano non sarebbe colpevole dell'adulterio-rapimento commesso da Paride: non si deve dimenticare però che si tratta del giudizio soggettivo e non necessariamente vero (nonostante la buona fede) pronunciato dal narratore, il Troiano Enea; inoltre conveniva accennare che la deresponsabilizzazione-riabilitazione di Troia è perseguita dal poeta (mediante il filtro del personaggio parlante) per ragioni ideologiche e morali legate alla discendenza di Roma. Comunque le note sono, per la maggior parte, corrette e perspicue; né l'oggettiva esigenza di sintesi deve essere ascritta a colpa dell'Autrice.

A uno sguardo d'insieme il cospicuo impegno investito nel volume merita senz'altro un giudizio positivo, anzi largamente positivo, che però è giocoforza provvisorio. Si rimane in attesa che l'opera sia completata e si auspica che si mantenga all'altezza delle aspettative.

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