Thursday, January 28, 2010

2010.01.54

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Fiona Macintosh, Sophocles: Oedipus Tyrannus. Cambridge/New York: Cambridge University Press, 2009. Pp. xvi, 203. ISBN 9780521497824. $29.99 (pb).
Reviewed by Federico Condello, Università di Bologna

Table of Contents

Nel 1960 Lacan profetizzava: "l'Edipo non potrà tenere indefinitamente il cartellone in società in cui sempre più si perde il senso della tragedia". Gli faceva eco nel 1975 Heiner Müller: "nel secolo di Oreste e di Elettra Edipo diventerà una commedia".1 Profezie, se non erronee, precoci, perché ad oggi la fortuna di Edipo pare più che mai prospera. Ne danno prova i numerosi saggi dedicati al tema: negli ultimi cinque anni, almeno quattro monografie per l'Edipo re e due per l'Edipo a Colono.2 Alla già lunga serie si aggiunge ora un'eccellente indagatrice del Fortleben classico quale Fiona Macintosh, il cui contributo vede la luce per la collana "Plays in Production" di Michael Robinson: una destinazione che ha evidentemente condizionato il taglio divulgativo del volume e la particolare prospettiva scenica da cui è inquadrata la fortuna di Edipo. Un volume che fra divulgazione e dottrina trova tuttavia un ottimo compromesso.

Nei sei capitoli di cui consta il lavoro, la Macintosh si occupa dei seguenti temi: 1) la fortuna del mito edipico ad Atene nel V sec. a.C., non senza riferimenti alle riprese del secolo successivo (a partire dall'immancabile Antiph. fr. 189 K.-A.). Particolarmente apprezzabile l'insistenza sul carattere innovativo dell'Edipo re, contro la frequente distorsione prospettica che ne retrodata al V sec. la canonizzazione. 2) Edipo a Roma, con le ricadute dell'interpretazione senecana sulle riprese anglosassoni e francesi del XVII-XVIII sec. (A. Neville, T. Evans, J. Prévost, P. Corneille, J. Dryden e N. Lee, ma anche il Milton di Samson Agonistes). 3) La funzione del Coro nelle moderne rappresentazioni dell'Edipo re, dall'epocale messinscena vicentina del 1585 sino alla Francia otto- e novecentesca, con la resa di Jules Lacroix e l'interpretazione a lungo canonica di Jean Mounet-Sully: la progressiva riduzione del Coro a vantaggio di un eroismo via via più monumentale è un'ottima chiave di lettura per tracciare, sotto specie teatrale, la storia letteraria e culturale del dramma sofocleo. 4) La trionfante interpretazione irrazionalistica dell'Edipo re nel primo Novecento (Macintosh parla di una "dionisizzazione" di Edipo), fra M. Reinhardt, H. von Hofmannsthal e W.B. Yeats. 5) La progressiva diffusione novecentesca del modello freudiano, che trasforma Edipo in un "everyman", nelle rappresentazioni e nelle riscritture di J. Cocteau-J. Daniélou-I. Stravinskij, E. Fleg-G. Enesco, A. Gide, P. Blanchar. 6) La vague anti-edipica del secondo Novecento, con una sostanziale demolizione del modello freudiano, da Tyrone Guthrie sino alle messinscene-riscritture di O. Rotimi e S. Berkoff, non senza accenni a M. Graham e a H. Cixous-A. Boucourechliev. Completano il lavoro una "Selected Bibliography" e un utile Index nominum. Contenuto ma ben scelto l'apparato iconografico.

Il volume si arresta dunque agli anni Ottanta-Novanta del secolo passato, con minime incursioni nel nuovo millennio: limitazione dovuta forse alla volontà di trattare soltanto riprese ormai canonizzate. Niente di ciò che qui si trova può sorprendere, mentre sorprende qualche omissione (cf. infra): ma la densità delle trattazioni dedicate alle specificità attoriali, registiche e scenografiche dei singoli allestimenti riscatta ampiamente la ristrettezza della selezione. Non sempre è chiaro il criterio che ha condotto a privilegiare questa o quella messinscena dell'Edipo re, e a trattare saltuariamente e non organicamente le modalità spettacolari (o le particolarità tematiche) dell'una o dell'altra riscrittura: il volume non è né una storia della fortuna letteraria, né una storia della fortuna scenica, ma un personale percorso in equilibrio fra le due linee di ricerca. Un equilibrio talora precario: e.g., la regia di Guthrie ha tanto spazio quanto le riscritture di Cocteau o Gide, mentre il contributo attoriale di Mounet-Sully rischia di apparire più rilevante della lettura freudiana. Ma al di là di queste dissimmetrie, le singole trattazioni sono ovunque lucide e proficue.

Qualche assenza, si diceva, sorprende. Ma in tema di Reception Studies, l'integrazione di una lacuna non può essere che contributo ulteriore, spesso soggettivo, all'inevitabile selezione del materiale. La selezione operata dalla Macintosh è marcatamente anglo-centrica, sicché nemmeno una riga è dedicata -- fra Corneille e Dryden-Lee -- all'Edipo di Emanuele Tesauro (1661), benché l'autore del Cannocchiale aristotelico sia fra i più influenti interpreti di quel senechismo barocco cui la Macintosh dedica ampio spazio.3 Si capisce che sia omesso l'intero Medioevo, fecondo di spunti edipici -- Propp docet -- ma irrilevante sotto il profilo scenico e teatrale;4 di Voltaire si potrebbe ricordare l'ampia critica d'impianto al dramma sofocleo -- ne è ancora erede R.D. Dawe5 -- e fra i contemporanei del philosophe non andranno dimenticati Folard e Hudar de La Motte. Per la fortuna teatrale di Edipo fra Otto- e Novecento, andrebbero integrati almeno Leconte de Lisle in qualità di traduttore e Firmin Gémier in qualità di regista (data la diretta dipendenza da Max Reinhardt), per tacere di Paul Claudel e delle sue riflessioni sul ruolo del Coro,6 un altro tema caro alla Macintosh. Quanto al pieno Novecento -- per limitarsi ai registi -- una menzione meritano almeno Benno Besson (oltre alla messinscena berlinese del 1967-1968, condotta su Hölderlin, si ricordi la regia italiana del 1980, su traduzione di Edoardo Sanguineti7) e Jean-Pierre Vincent 8; Heiner Müller non può non essere ricordato come autoréregista di un Ödipus Tyrann a base hölderliniana (1966), se lo si cita quale profeta di un Edipo ridotto a commedia (p. 161).9 Infine, in tempi più prossimi, meritevoli di menzione appaiono le regie di M. Martone e T. Suzuki.10 Quanto alla recente produzione italiana, la Macintosh evoca inaspettatamente il nome di Giuseppe Manfridi (p. 162), perché il suo Cuckoos (in originale Zozòs) è oggetto di una ripresa inglese a firma di Peter Hall (2000): poiché si tratta di una vaga trama edipica, di deliberata o scontata oscenità e di minimo spessore letterario, si potevano citare piuttosto Edoardo Erba (Dejavu, 1999) e soprattutto Renzo Rosso (Edipo. Ambigui presagi disadorni e senza profumo, 1990);11 ma il nome italiano di cui più vistosa è l'assenza -- specie perché la Macintosh si sofferma a lungo sui contemporanei elogi dell'incesto -- è quello di Giovanni Testori (Edipus, 1977, uno dei capolavori scenici della compagnia Lombardi-Tiezzi 12). Infine, un'originale riscrittura di cui tutti i repertori edipici si ostinano a ignorare l'esistenza è l'ungherese Játétok Életré-Halálra di Miklós Hubay (1968),13 mentre un'opera recente di ormai internazionale notorietà è Edipo asesor del cileno Benjamin Galimiri (2000; cf. Edipo asesor).

Fin qui alcune rapsodiche integrazioni. Su quanto la Macintosh cita e discute, siano consentite poche osservazioni di dettaglio. Pp. XIII, 4, 7: che l'OT vada datato al 430-425 a.C. resta ben più dubbio di quanto la Macintosh lasci presumere, ed è impegnativo asserire che "the play undoubtedly reflects upon [...] ideas and events that dominated Athenian life at the beginning of the 420s." (p. 7). Perché non del decennio successivo? L'ipotesi è almeno equiprobabile (cf. e.g. E. Degani, Filologia e storia. Scritti di Enzo Degani, I, Hildesheim-Zürich-New York: Olms, 2004, pp. 289s.; G. Avezzù, Il mito sulla scena. La tragedia ad Atene, Venezia: Marsilio, 2003, pp. 214-216). P. 8 (cf. anche p. 172): la legge periclea sulla cittadinanza (451 a.C.) non basta certo a spiegare "the play's preoccupation with biological, as opposed to 'given' or assumed, identity"; la portata ideologica di ogni discorso tragico relativo al genos va ben al di là di ogni sociologia evenemenziale. Pp. XII, 15: la Macintosh, fin dal titolo, si rifiuta di stemperare il titolo tyrannos nel diffuso "re"; ma non è chiaro se la studiosa pensi a un pieno valore tirannico (cf. p. 15), o se accolga la più neutrale esegesi di Knox, frequentemente richiamata (tyrannos come re non ereditario: cf. B.M.W. Knox, Word and Action. Essays on Ancient Theater, Baltimore-London: John Hopkins University Press, 1979, pp. 87-95; un'ipotesi cui ostano però almeno gli impieghi dei vv. 128, 799, 939, 1043, tre dei quali riferiti al regno di Laio). P. 17: che nel finale Edipo assuma, verso le figlie, un ruolo tipicamente materno, è idea difficile da sottoscrivere; sul frequente misconoscimento dei legami che connettono la chiusa al resto del dramma cf. V. Di Benedetto, Sofocle, Firenze: La Nuova Italia, 1988, pp. 127-135. P. 20: il finale spurio dei Sette contro Tebe dimostrerebbe che l'Antigone è divenuta un pezzo da repertorio già sul finire del V sec. a.C.; non vedo come si possa escludere -- al di là del parallelo con le Fenicie -- un'interpolazione posteriore. P. 37: Petr. 132, con la celebre allocuzione al fallo, non è che uno dei tanti passi antichi in cui sia suggerita l'equivalenza simbolica di pene e occhi, e non è il caso di parlare di "anticipazioni" della psicoanalisi; l'equivalenza, peraltro, è qui blanda, perché gli occhi sono un termine di paragone inter alia. Cf. piuttosto G. Devereux, The Self-Blinding of Oidipous in Sophokles' Oidipous Tyrannos, "JHS", 93, 1973, pp. 36-49. Pp. 37s. L'insistenza sul rapporto fra Nerone e Agrippina concede ben poco al topos che vuole i tiranni incestuosi, e difficilmente potrà valere quale chiave interpretativa per l'Edipo senecano (cf. p. 40), anche a prescindere dalla notoria oscurità cronologica. P. 44. È qui riaffermata la fede di Sofocle nel "providential order" del cosmo. Non so quanti possano sottoscrivere, oggi, almeno in questa forma lapidaria, un'esegesi tanto prevedibile. Pp. 48s. Un accenno alle numerose traduzioni latine e volgari di Sofocle, fra Cinque- e Seicento, avrebbe giovato ben più di un riferimento alle traduzioni senecane; dopo M. Delcourt, Étude sur les traductions des tragiques grecs et latins en France depuis la renaissance, Bruxelles: Lamertin, 1925, cf. ora E. Borza, Sophocles redivivus. La survie de Sophocle en Italie au debut du 16ème siècle. Editions grecques, traductions latines et vernaculaires, Bari: Levante, 2007. P. 70. La messinscena vicentina del 1585 non è "the first modern vernacular production of Sophocles' tragedy". Essa è stata anticipata almeno dalla messinscena edipica del 1560, a cura di Giovanni Andrea Dell'Anguillara, per la stessa Accademia Olimpica di Vicenza. Pp. 102-124. Per l'Edipo "dionisiaco" del primo Novecento non andrà trascurata l'influenza del modello incestuoso wagneriano, percettibile ancora nel libretto della Cixous: cf. Paduano, Lunga storia, cit., pp. 127-148, 234-239. P. 139. "The priest Jean Daniélou" è una curiosa semplificazione (nel 1927, al tempo della collaborazione con Stravinskij e Cocteau, il grande studioso e futuro cardinale era peraltro un ventiduenne fresco di studi); non mi pare si possa sottoscrivere quanto la Macintosh osserva sull'uso del latino nell'opera-oratorio di Stravinskij ("very close to the post-war French, Catholic conservative classicising traditions", p. 139): ciò non dà conto, peraltro, della lingua ibridata prescelta da Daniélou; cf. Paduano, Edipo, cit., pp. 189-192. Pp. 160s. Non si dovrebbero assimilare Foucault e Deleuze-Guattari nelle rispettive critiche al modello freudiano, salvo credere a una indistinta koiné postmoderna; non a caso, la prefazione di Foucault all'Anti-Oedipe, citata dalla Macintosh (p. 160 e 189 n. 7: ma si tratta di un testo del 1977, non del 1983), non tratta, se non di passata, gli intenti anti-freudiani del volume.14 Più in generale, accomunare tutte le opere posteriori al 1950 sotto una generica etichetta di "antifreudianesimo" pare sommario e, in alcuni casi, fuorviante; non è un caso che molti dei presunti tratti "antifreudiani" censiti dalla Macintosh riguardino anche le opere del primo Novecento. Pp. 160 e 188 n. 3. È curioso vedere indicato in G. Steiner, The Death of Tragedy, "the locus classicus of the 'post-tragic' position": il polemico volume, come è noto, attinge a stereotipi tardo-idealistici e non cessa di ribadire l'assunto erroneo secondo cui l'antica tragedia sorgerebbe da una spontanea fede nel Fato; su queste fragili basi, e in nome della maestà classica, Steiner demolisce quasi ogni riscrittura tragica moderna: tutto ciò ha poco a che fare con "the post-tragic world of post-war Europe", ammesso e non concesso che un così spontaneo discrimine cronologico sia ben scelto. Pp. 181-187. La promozione di Giocasta a protagonista non deve attendere la Graham o la Cixous; è un tipico caso di quella che Genette definiva "valorisation secondaire",15 ed è fenomeno che interessa la fortuna del mito edipico almeno dal Settecento (per tacere di Euripide). I tratti distintivi andranno cercati altrove.

Qualche inevitabile dissenso nulla toglie alla ricchezza dell'insieme, alla lucidità di molte trattazioni particolari e all'originalità del taglio teatrologico, che assicura al volume un posto di rilievo fra le indagini contemporanee su un mito di cui troppo spesso si annuncia la fine.



Notes:


1.   Cf. J. Lacan, Scritti, trad. it. Torino: Einaudi, 1974, p. 815; per Müller, cf. J. Scott, Electra After Freud. Myth and Culture, Ithaca-London: Cornell University Press, 2009, p. 75, nonché la stessa Macintosh a p. 161.
2.   Cf. M. Bettini-G. Guidorizzi, Il mito di Edipo. Immagini e racconti dalla Grecia a oggi, Torino: Einaudi, 2004; L. Edmunds, Oedipus, London-New York: Routledge, 2006; G. Paduano, Edipo. Storia di un mito, Roma: Carocci, 2008; G. Avezzù (ed.), Sofocle, Seneca, Dryden e Lee, Cocteau. Edipo: variazioni sul mito, Venezia: Marsilio, 2008; per il Coloneo, i pressoché contemporanei saggi di A. Markantonatos, Oedipus at Colonus. Sophocles, Athens and the World, Berlin-New York: de Gruyter, 2007, pp. 231-255 e A. Rodighiero, Una serata a Colono. Fortuna del secondo Edipo, Verona: Fiorini, 2007. Dei saggi citati la Macintosh ricorda il solo Edmunds.
3.   Cf. C. Ossola (ed.), Emanuele Tesauro. Edipo, Venezia: Marsilio, 1987, pp. 9-45 e G. Paduano, Lunga storia di Edipo re. Freud, Sofocle e il teatro occidentale, Torino: Einaudi, pp. 285-288.
4.   Il lettore inglese troverà ampi risarcimenti in Edmunds, op. cit., pp. 64-79.
5.   Cf. R.D. Dawe (ed.), Sophocles. Oedipus Rex. Revised Edition, Cambridge: Cambridge University Press, 2006, pp. 11-17.
6.   Si può vedere al proposito S. Humbert-Mougin, Dionysos revisité. Les tragiques grecs en France de Leconte de Lisle à Claudel, Paris: Belin, 2003, pp. 37-45, 211-216, 221-226.
7.   Cf. e.g. H. Flashar, Inszenierung der Antike. Das griechische Drama auf der Bühne. Zweite, überarbeitete und erweiterte Auflage, München: Beck, 2009, pp. 223-227 (il classico volume, da poco riedito, è la più notevole assenza in bibliografia; ma essa sembra limitarsi intenzionalmente a testi in lingua inglese e francese).
8.   Cf. Flashar, op. cit., p. 287.
9.   Cf. M. McDonald, L'arte vivente della tragedia greca, trad. it. Firenze: Le Monnier, 2004, p. 79 (ed. or. Bloomington-Indianapolis: Indiana University Press, 2003).
10.   Cf. Flashar, op. cit., pp. 292 e 297. La regia di Tadashi Suzuki (2000) è brevemente menzionata a p. 159.
11.   Cf. E. Erba, Maratona di New York e altri testi, Milano: UbiLibri, 2002 e R. Rosso, Edipo. Ambigui presagi disadorni e senza profumo, Roma: G. Edizioni, 1992. Su quest'ultimo cf. Paduano, Lunga storia, cit., pp. 243-248.
12.   Ora in G. Testori, Opere. 1965-1977, Milano: Bompiani, 1997. Cf. Paduano, Lunga storia, cit., pp. 227-230; Id., Edipo, cit., pp. 178-180.
13.   Non mi risultano traduzioni inglesi. L'unica traduzione in lingua occidentale pare M. Hubay, La sfinge, ovvero addio agli accessori, a c. di U. Albini, Firenze: Nardini, 2005.
14.   Il testo si può leggere oggi in M. Foucault, Dits et écrits II. 1976-1988, Paris: Gallimard, 2001, pp. 133-136.
15.   G. Genette, Palimpsestes. La littérature au second degré, Paris: Seuil, 1982, pp. 471-491, in part. p. 484.

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