Tuesday, May 10, 2016

2016.05.11

Domenico Lovascio, Un nome; mille volti: Giulio Cesare nel teatro inglese della prima età moderna. Lingue e letterature Carocci, 192; Serie AIA Book Prize, 2. Roma: Carocci editore, 2015. Pp. 207. ISBN 9788843075416. €22.00 (pb).

Reviewed by Sergio Audano, Centro di Studi sulla Fortuna dell'Antico "Emanuele Narducci" – Sestri Levante (sergioaudano@libero.it)

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Domenico Lovascio, giovane studioso di scuola genovese, anglista di formazione, si dedica da tempo alla ricezione della storia romana di età tardo-repubblicana nel teatro inglese tra Cinque e Seicento. Al suo attivo può vantare numerosi contributi in materia, tra i quali spicca l'edizione commentata della Congiura di Catilina di Ben Johnson (Genova 2011).

Il presente volume è stato pubblicato in quanto vincitore dell'AIA (Associazione Italiana di Anglistica)/Carocci Doctoral Dissertation Prize 2014 e rappresenta un tentativo molto interessante di cogliere le complesse e variegate sfaccettature della ricezione della figura di Cesare nel momento più alto del teatro inglese, tra la fine del regno di Elisabetta I e l'inizio, con Giacomo I, della dinastia Stuart.

La figura di Cesare, meglio di altri personaggi della storia romana, si presta ad assumere una connotazione di alto valore simbolico, come era di fatto accaduto già in età antica, sia per l'elaborazione del proprio mito da parte del dittatore, secondo i consueti schemi propagandistici, sia anche per l'associazione tra il personaggio storico e l'idea stessa di potere, già elaborata dall'ultimo Cicerone, da Seneca e soprattutto da Lucano.

Nella Premessa (pp. 7-14) Lovascio illustra bene le linee guida del suo lavoro, di cui mette in luce «l'attenzione al dettaglio filologico e al confronto con le fonti» (p. 12), necessario per cogliere adeguatamente le variazioni sul tema nei drammi presi in esame e la capacità di ogni singolo drammaturgo di alterare o allontanarsi dai resoconti storici abitualmente utilizzati come fonti. Ma in queste pagine lo studioso ha il merito di delineare (soprattutto alle pp. 8-11) un sintetico ma denso scenario di fondo, un quadro culturale comune, che emerge di fatto da ogni dramma pur nella propria specificità. Lovascio pone, quindi, particolare attenzione all'influenza retorica esercitata dalle grammar schools e dalla consueta modalità delle esercitazioni scolastiche in utramque partem, dalla parte quindi di Cesare, ma anche dei suoi avversari. Inoltre, la storia romana rappresentava per il teatro del tempo lo spazio ideale per proiettare riflessioni politiche di stringente attualità, che potevano così meglio mimetizzarsi rispetto all'autocrazia regale e al clima di perenne sospetto di quel periodo (alimentato anche dalle lotte religiose). Infine, Lovascio si sofferma sulle tipologie dei dramma presi in esami, molti dei quali appartengono alla categoria del cosiddetto closet drama, quindi rivolti più alla lettura piuttosto che alla rappresentazione: una fruizione del genere richiedeva, pertanto, un'attenzione particolare alle fonti storiche.

Naturalmente non poteva non mancare spazio per il testo simbolo, il celeberrimo Julius Caesar di Shakespeare del 1559, con cui esordisce il volume, per rimanere in metafora, a mo' di Prologo (pp. 17-28). Il dittatore romano «intende erigere un sé ideale indistruttibile, incrollabile, impossibile da scalfire» (p. 24), in cui non vi è spazio né per la giustizia comunemente intesa né per la paura. Cesare, dunque, costruisce la mitizzazione non del semplice potere imperiale, secondo gli schemi medievali, ma del potere del proprio ego, che trascende ogni limite, anche al punto da far cancellare ogni distinzione tra immagine privata e pubblica. E di conseguenza la sua esistenza si equipara al mito, diventa nozione tanto politica quanto atemporale, che può vivere anche dopo la morte del Cesare "storico". Ed è un modello che non dispiace neppure alla regina Elisabetta che, anche alla fine del suo lungo regno, adotta la strategia di identificarsi in modelli come Diana, Cinzia e Astrea, nel tentativo di rimanere semper eadem (anche sul piano figurativo), come proiettata anch'essa, grazie a queste assimilazioni simboliche, nell'eternità del mito.

Il primo capitolo, Cesare nel teatro inglese fra Medioevo e prima età moderna (pp. 29-36), delinea il passaggio dalle categorie interpretative medievali, in base alle quali Cesare si configurava soprattutto come exemplum di saggezza e di eroismo, a quelle proprie dell'età early modern: questo passaggio copre un lungo arco temporale, che si traduce in molte opere, andate in larga maggioranza perdute, che testimoniano in ogni caso il successo di pubblico di trame ambientate in Roma antica, e con Cesare come protagonista.

Il primo dramma che vede l'eroe romano quale personaggio parlante è, però, la Cornelia di Thomas Kyd del 1594, alla cui analisi è dedicato il capitolo Cesare tiranno ex defectu tituli: Cornelia di Thomas Kyd (pp. 17-56): tragedia d'ispirazione senecana per forma e struttura, il tragediografo utilizza la figura della vedova di Pompeo come simbolo della sofferenza dei sostenitori del regime repubblicano, gradualmente scalzato dalla premeditata distruzione da parte di Cesare. Quest'ultimo, per utilizzare la terminologia già coniata da Tommaso d'Aquino, si configura come tiranno ex defectu tituli, ossia per usurpazione graduale (e illegittima) dei poteri. Molto interessanti, alle pp. 51-55, le riflessioni sulla diffusione in Inghilterra delle idee repubblicane (forse qui si poteva qualcosa di più in merito alla circolazione di Machiavelli) e al dialogo intessuto dalla nostra tragedia.

All'anonimo Caesar's Revenge sono dedicate le pp. 57-82: si tratta di un dramma pubblicato nel 1606 e ristampato l'anno seguente; non si hanno notizie in merito alla sua rappresentazione. La prospettiva è decisamente anticesariana: il dittatore viene rappresentato in preda all'amore dissoluto nei confronti di Cleopatra e questa caratterizzazione della tirannide di Cesare, ancora una volta secondo l'angolatura ex defectu tituli, si associa a una decisa condanna della guerra civile (pur con qualche posizione critica verso l'assenza di un vero ideale da parte dei pompeiani, anch'essi mossi soprattutto da interessi personali), che porta Lovascio (a cui si deve un'attenta analisi di questa tragedia, solitamente poco apprezzata dalla critica) a collocarla sullo sfondo delle discussioni dei primissimi anni del regno di Giacomo I sulla liceità del tirannicidio.

Il capitolo seguente, Le ambiguità della politica: Caesar and Pompey di George Chapman (pp. 83-104), si concentra, invece, su uno dei drammi più complessi e affascinanti drammi sul tema, in cui non era forse estraneo un parallelo tra Cesare e la figura del Principe di Galles Enrico, prematuramente scomparso nel 1612, per il quale si auspicava un destino glorioso e capace di stimolare la potenza imperialistica dell'Inghilterra. In un intreccio perverso tra genio del male ed eroismo, che non sarebbe dispiaciuto a Lucano o a Machiavelli, la figura di Cesare, secondo Lovascio, «tradisce la fascinazione del drammaturgo» (p. 100), che lascia in suo eroe in un giudizio di fatto ambiguo e irrisolto, come del resto rimasero storicamente senza risposte le aspettative (e anche i conseguenti timori legati a una personalità troppo esuberante, non estranea alla facile popolarità) associate al giovane principe.

A Cesare tiranno ex parte exercitii: Julius Caesar di William Alexander (pp. 105-130) è dedicato il quinto capitolo: dramma anch'esso di struttura senecana, fu pubblicato (e forse messo in scena) nel 1607, in un'Inghilterra ormai pienamente sotto il governo della nuova dinastia degli Stuart. E per quanto l'autore cercasse di ingraziarsi il re Giacomo I, andando incontro ai suoi gusti (a p. 129 Lovascio sottolinea il tentativo «di assecondare il disgusto di Giacomo per quella corrente di neostoicismo tacitiano che si stava diffondendo tra i suoi cortigiani come veicolo del loro malcontento»), la tragedia assume la funzione di vero e proprio monito nei confronti del sovrano a non superare i limiti del suo potere (la tirannide ex parte exercitii era l'altra possibilità contemplata nella trattatistica medievale) e a non ipotizzare modifiche radicali della forma di governo per non attirarsi, proprio come Cesare, il risentimento generale.

Il sesto capitolo, Cesare e la distruzione della libertà di Roma: Catiline His Conspiracy di Ben Johnson (pp. 131-152), si concentra sulla poliedrica figura di Johnson, anch'egli caratterizzato da un'ambivalenza di giudizio nei confronti del generale romano, più positivo nella poesia d'occasione di alcuni epigrammi, al contrario molto più critico nella produzione teatrale. Lungi dall'essere «una mera figura di contorno» (p. 137), il Cesare di Johnson si rivela, invece, come un vero e proprio cospiratore (capovolgendo il consueto cliché che lo raffigura come vittima di una congiura), forse in polemica con la tragedia shakespeariana. Lovascio mette bene in luce il meccanismo di scostamento dalla fonte sallustiana attuato dal drammaturgo inglese, il quale punta, invece, a trasformare Cesare in un vero e proprio artefice della congiura di Catilina. E ovviamente questo aspetto giustifica la rappresentazione totalmente negativa del personaggio, connotato secondo i dettami del peggior machiavellismo e della cinica applicazione della "ragion di stato" (belle le osservazioni, alle pp. 138-139, sulle analogie col trattato omonimo di Giovanni Botero, tradotto in inglese già a partire dal 1602). Ma la lettura offerta da Johnson colloca Cesare nella più ampia prospettiva di un lungo processo degenerativo della politica romana, di cui egli fu l'unico responsabile grazie all'affossamento delle libertà repubblicane, come appare anche in un altro dramma, portato alle pp. 150-152 come elemento di comparazione e di continuità ideale col Catilina, ovvero il Sejanus del 1603.

Il settimo capitolo, Effeminazione, lusso, antimperialismo: The False One di John Fletcher e Philip Massinger (pp. 153-178), si concentra sulla prima tragedia inglese basata sulle vicende di Cesare in Egitto (la composizione risale forse al periodo tra il 1619 e il 1623, mentre appare a stampa solo nel 1647). Secondo lo studioso, non è da escludere che i due autori abbiano tenuto presente l'anonimo Caesar's Revenge, a iniziare dalla passione amorosa tra Cleopatra e Cesare, ma che trova ulteriori indizi dal pentimento di quest'ultimo per le guerre civili e dalla presenza di Antonio (che a prima vista s'innamora della regina) con Cesare in Egitto. L'atteggiamento altezzoso del generale, associato all'immagine di effeminatezza lussuosa che lo contraddistingue durante questo soggiorno e all'ambizione distruttrice, conduce Cesare a intaccare alcuni presupposti fondamentali della sua azione politica e propagandistica, a iniziare dalla millantata clementia. Ma il dramma tratteggia anche una figura in grado «di possedere il potenziale per elevarsi al di sopra delle sue debolezze, di conformarsi a un ideale di onore e di gloria in grado di legittimarlo al ruolo di capo» (p. 178). È probabile che la tragedia risponda a un dibattito molto acceso intorno agli ultimi anni di regno di Giacomo I (il sovrano morì nel 1625) e alimentato, peraltro, da un costante ricorso ai classici greco-latini (cfr. p. 170), in merito ai rischi e alle potenzialità dell'espansionismo politico e militare dell'Inghilterra (uno dei bersagli era la politica pacifista e, pertanto, poco eroica del re inglese).

Nelle pagine conclusive dell'Epilogo (pp. 179-189), Lovascio traccia una lucida sintesi del percorso seguito, valorizzando, in modo particolare, le relazioni sussistenti tra testi che dimostrano la propria specificità sul piano drammaturgico e ideologico. In particolare, lo studioso valorizza (pp. 187-188) il gesto del pentimento di Cesare, non attestato nella fonti antiche, ma che, in questa innovazione più volte attestata, assume la funzione di biasimare i conflitti civili, esasperandone la follia e la crudeltà. Ma questa modalità si riflette nella visione politica contemporanea e si inserisce «nel contesto di un addomesticamento della sua figura, incoraggiato dalla neonata identità nazionale inglese e realizzato attraverso l'accentuazione di alcuni dei suoi tratti che erano particolarmente odiosi agli inglesi del cinque e Seicento» (p. 188).

Una ricca Bibliografia (pp. 191-207) conclude questo interessante volume, ben condotto nelle sue riflessioni, da un lato analitico anche nel rapporto dei testi affrontati con le fonti antiche, ma dall'altro in grado di elaborare sintesi precise e persuasive. Si tratta di un contributo sicuramente importante, utile non solo agli anglisti, ma anche agli studiosi di drammaturgia e, in generale, di fortuna dell'antico.

Indice

Premessa
Nota al testo
Prologo
1. Cesare nel teatro inglese fra Medioevo e prima età moderna
2. Cesare tiranno ex defectu tituli: Cornelia di Thomas Kyd
3. Intemperanza ed effeminazione: l'anonimo Caesar's Revenge
4. Le ambiguità della politica: Caesar and Pompey di George Chapman
5. Cesare tiranno ex parte exercitii: Julius Caesar di William Alexander
6. Cesare e la distruzione della libertà di Roma: Cateline His Conspiracy di Ben Jonson
7. Effeminazione, lusso, antimperialismo: The False One di John Fletcher e Philip Massinger
Epilogo
Bibliografia

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