Monday, July 21, 2014

2014.07.22

Timothy J. Moore, Wolfgang Polleichtner (ed.), Form und Bedeutung im lateinischen Drama/ Form and Meaning in Latin Drama. Bochumer Altertumswissenschaftliches Colloquium, Band 95. Trier: Wissenschaftlicher Verlag Trier, 2013. Pp. 170. ISBN 9783868214994. €23.50.

Reviewed by Giampiero Scafoglio, Seconda Università di Napoli; Université de Nantes (scafogli@unina.it)

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Il volume raccoglie i saggi presentati in un convegno che si è tenuto alla Rhur-Universität di Bochum nel maggio 2011. La finalità dell'iniziativa è, come spiegano i due curatori T. J. Moore e W. Polleichtner, "to build two bridges across divides […] in the study of Latin drama": un ponte per integrare i recenti progressi nell'approfondimento degli aspetti linguistici, stilistici e drammaturgici della produzione teatrale "with work on its social and cultural significance"; un altro per estendere l'interesse "in the many plays written in Latin in the medieval and modern eras and in the influence of Roman dramatic works in later periods" (Preface, pp. 5-7).

M. Faure-Ribreau ('La sententia comique: une forme en quête de sens?', pp. 11-31) si sofferma sulle sententiae presenti nelle commedie che, "quoique construites à partir des valeurs de la communauté romaine et de son imaginaire collectif, sont vidées de toute valeur éthique et de toute autorité", sicché esse "n'ont […] pas de signification pragmatique en vertu de leur sens moral ou gnomique" (p. 17). Infatti la sententia non ha un significato intrinseco e oggettivo, ma assume un senso conforme al contesto in cui si trova: "c'est dans le contexte ludique du spectacle que la sententia prend sens, en fonction de son association avec le jeu de l'acteur comme de son articulation avec la suite du monologue, au service du code comique ou de ses variations, de jeux verbaux ou scéniques, bref au service du ludus" (p. 23). Ciò non impedisce a Cicerone di riusare le sententiae attinte dalla commedia e di 'attivarne' la valenza morale, già potenzialmente presente nella loro formulazione letterale: "la sententia comique change donc de fonction quand elle change de contexte d'énonciation, puisqu'elle perd sa fonction ludique pour devenir le véhicule d'un contenu philosophique" (p. 26).

Per un ampliamento di prospettiva, ad abbracciare l'uso delle sententiae anche nella tragedia romana, che si sviluppa parallelamente alla commedia (non senza influssi reciproci), cf. il mio contributo 'Le sententiae nella tragedia romana', nel volume curato da E. Lelli, PAROIMIAKOS. Il proverbio in Grecia e a Roma, vol. II, Pisa- Roma 2010, pp. 261-280. Dai frammenti risulta infatti che le sententiae erano cospicuamente presenti nella tragedia, anche se spesso non è facile risalire al contesto e nemmeno evincerne il significato, in rapporto con gli eventi a cui si riferiscono. Mi chiedo però se non sia possibile inquadrare la 'sentenziosità' della commedia appunto nell'ambito (più ricco e complesso di quanto sembri e non ancora indagato a fondo) delle relazioni con la tragedia (specialmente ma non esclusivamente la parodia). Del resto, Cicerone attinge sententiae dalla tragedia non meno che dalla commedia, ma con approccio diverso, in quanto non deve 'recuperare' un significato 'perduto' o deliberatamente 'neutralizzato' nel gioco comico; si può intuire però (e anche questo punto meriterebbe un approfondimento) che egli 'reinterpreti' il concetto gnomico in funzione del discorso in cui lo inserisce e degli scopi che persegue.

F. Hurka ('Plautus und die Erschaffung des Zuschauers: Publikumsnormierung und narrative Perspektivensteuerung im Prolog des Poenulus', pp. 33-51) analizza il prologo del Poenulus e ne attinge un quadro del pubblico ideale della commedia, quale emerge da un "gruppenpsychologischer Normierungsprozess" (p. 47). Si tratta di un pubblico di maschi adulti: "die Erzählung der zurückliegenden Ereignisse zeigt ein deutliches Interesse an den Handlungen und Gefühlen der Väter, nicht aber an denen der Kinder oder der Mütter" (p. 48). Un pubblico delineato quindi "aus einer explizit römischen Warte", nonostante il "Prologsprecher" sia messo in ridicolo in quanto non romano (ibidem).

Il lessico e le strategie usate per chiedere scusa nella commedia di Terenzio sono oggetto del contributo di P. Kruschwitz e A. Cleary-Venables ('How to apologise in Latin: a case study', pp. 53-86), che prende le mosse dalla teoria linguistica contemporanea (in particolare P. Brown - S. C. Levinson, Politeness. Some Universals in Language Use, 2a ed. Cambridge 1987). Idoneo "for a first and exploratory case study" appare il corpus delle commedie di Terenzio, "that is likely to cover the whole breadth of apologetic strategies and scenarios as encountered in real life" (p. 57). Questa vasta e varia gamma di formulazioni e strategie è passata puntualmente in rassegna e divisa in categorie (in base alla classificazione di W. L. Benoit - S. Drew, 'Appropriateness and Effectiveness of Image Repair Strategies', Communication Reports 10, 1997, pp. 153-163). Si propone infine di estendere il discorso ai prologhi di Terenzio, che possono essere considerati "as defence speeches", nella misura in cui il poeta "consistently tries to restore face, adopting a number of strategies" (p. 83): uno spunto interessante, che però purtroppo non è sviluppato, ma è annunciato come oggetto di un lavoro futuro. Mette conto ricordare che, sul medesimo argomento di questo contributo, è appena uscito un articolo di L. U. Gómez, 'Pedir perdón en latín. El acto de habla de la disculpa en las obras de Plauto y Terencio', Emerita 82, 2014, pp. 69-97.

T. J. Moore ('Andria: Terence's Musical Experiment', pp. 87-114) conduce un'analisi metrica dell'Andria, mettendo in luce "many signs of daring experimentation", consistenti in "numerous new approaches to dramatic music that were either rarely used or unknown to Plautus" (p. 87). Tra le peculiarità di questa commedia: i frequenti cambiamenti metrici (in particolare, dai senari giambici ai versi cantati e viceversa), l'impiego di vari tipi di polimetria giambico-trocaica, il largo uso degli ottonari giambici, l'introduzione di "several new varieties of metrical symmetry and leitmotifs", l'instaurazione di "more connections between musical changes and the thoughts, words and emotions of […] characters". Le statistiche smentiscono infatti l'idea tradizionale che Terenzio, fin dall'Andria, sarebbe "less musical and less musically adventurous" rispetto a Plauto (p. 88). Alcune di queste innovazioni resteranno nella produzione successiva di Terenzio (per esempio l'impiego cospicuo di versi giambici, l'uso di "leitmotifs and other thematic uses of meters"), altre verranno meno (i continui cambiamenti di metro, la frequenza e l'estensione dei passi polimetrici): nessun'altra commedia manifesterà ugualmente "elaborate metrical symmetry or metatheatrical use of meter"; tanto che l'Andria si può considerare "a musical tour de force unique in Roman comedy" (p. 112).

Passando poi dal latino antico a quello moderno, R. F. Glei ('Turnus im neulateinischen Drama – ein ‚tragischer‛ Held?', pp. 115-129) prende in esame il personaggio di Turno in cinque drammi, tra XVI e XVII secolo: Inclyta Aeneis di J. Lucienberger (1576); Tragoedia Turni di J. J. Wolf (1591); Turnus di F. Lasdorp (1596); Turnus occisus di J. H. Helmann (1626); Aeneae et Laviniae coniugio (1648). L'autore sottopone a una verifica la tesi di C. Kallendorf (The Other Virgil. Pessimistic Readings of the Aeneid in Early Modern Culture, Oxford 2007), secondo cui l'interpretazione pessimistica dell'Eneide ("two voices theory"), avanzata dalla scuola di Harvard, è anticipata da alcune 'rielaborazioni' realizzate nella produzione letteraria neolatina, in epoca moderna. Tuttavia "alle bekannten Turnus-dramen […] gehen über Vergil dadurch hinaus, dass sie eine eindeutige moralische Verurteilung des Turnus aussprechen": di conseguenza, in questi drammi, "Turnus ist daher keine ‚tragische‛ Figur" in senso aristotelico (p. 128).

Il film Así es la vida (2000) di Arturo Ripstein (uno dei più famosi registi messicani contemporanei) è oggetto del contributo di R. M. Danese ('La Medea di Seneca di fronte allo specchio cinematografico', pp. 131-162). Si tratta di una "riscrittura cinematografica del grande mito di Medea" (pp. 132-133), la cui storia è trasposta nella contemporaneità, segnatamente nei quartieri poveri di Città del Messico: i personaggi "non sono eroi, re o principi, ma individui quasi ai margini della società, relegati nello spazio angusto della mediocrità e dello squallore" (p. 134); proprio "l'abbassamento sociale dell'ambientazione e dei personaggi rende il dramma ancora più cupo" (p. 136). Non sorprende che il regista prenda a modello, oltre e più che la Medea di Euripide, la tragedia omonima di Seneca, alla cui protagonista è ispirata la figura di Julia, "sempre più animalescamente in preda a una febbre di vendetta" nei confronti dell'uomo che la tradisce e la abbandona (p. 153). La Medea di Seneca, diversamente da quella di Euripide, è priva di evoluzione psicologica e appare "una sorta di dark lady rabbiosa e già da subito determinata al delitto": perciò risulta "perfettamente in linea con la poetica del cinema di Arturo Ripstein che […] predilige i personaggi che si abbandonano quasi irrazionalmente a un destino orribile, dove non c'è scelta e non c'è redenzione" (p. 161).

In conclusione, i singoli contributi che compongono il volume, per quanto diversi nel taglio e nel metodo, sono tutti interessanti e apprezzabili. Due limiti, peraltro non gravi, infirmano il libro nel suo insieme, rendendo fragile almeno uno dei due "ponti" auspicati dai curatori, cioè quello che dovrebbe legare la produzione drammatica latina antica e moderna: tra i lavori dedicati a Plauto e a Terenzio e gli ultimi due, incentrati rispettivamente sul dramma moderno e sull'influsso del teatro di Seneca nel cinema contemporaneo, non vi è un collegamento fluido, un nesso consequenziale, quale si potrebbe indicare metaforicamente appunto come un "ponte", ma si ha l'impressione di un cambiamento arbitrario di argomento e si stenta a trovare un filo conduttore. Un contributo sulla tragedia di Seneca, per esempio, avrebbe potuto rendere più naturale e morbido il passaggio dalla drammaturgia antica alla filmografia moderna, ispirata alla figura di Medea. Di qui prendo spunto per segnalare l'altro limite: l'interesse esclusivo per il genere comico nell'ambito antico (mentre, per la produzione neolatina e la filmografia, l'attenzione si sposta interamente sulla tragedia). Forse valeva la pena di bilanciare lo spazio dedicato alla commedia con qualche contributo riguardante la tragedia, a cui si può ben riferire la medesima necessità di integrazione dei progressi compiuti negli studi di tipo 'tecnico' e formale "with work on its social and cultural significance" (scopo precipuo del volume). Tuttavia queste critiche non compromettono la validità complessiva della raccolta, che è garantita dalla buona qualità dei singoli contributi.

Infine, parlando di un volume che si propone di integrare approcci metodologici e ambiti cronologici diversi, mi piace esprimere un auspicio che concerne un tema trasversale tanto fecondo quanto trascurato, l'auspicio che si progetti prossimamente di costruire un altro "ponte" (per usare ancora questa felice metafora), di cui si sente la mancanza nella bibliografia sulla drammaturgia romana arcaica: un "ponte" tra la commedia e la tragedia, che sono generi gemelli, simili per alcuni aspetti (a cominciare dalla modalità stessa della realizzazione 'mimetica', sotto forma di 'azione'), opposti e speculari per altri (impostazione e tipologie dell'azione, temperie, finalità, ambientazione, personaggi, etc.); generi paralleli, ma non privi di punti di contatto, al punto da interagire in un vero e proprio 'dialogo' (si pensi alla parodia della tragedia, spesso praticata nella commedia). Questo "ponte" resta ancora da costruire.

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