Thursday, January 30, 2014

2014.01.59

Jean M. Evans, The Lives of Sumerian Sculpture: An Archaeology of the Early Dynastic Temple. Cambridge; New York: Cambridge University Press, 2012. Pp. xii, 278. ISBN 9781107017399. $99.00.

Reviewed by Lorenzo Verderame, "Sapienza" Università di Roma (lorenzo.verderame@uniroma1.it)

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Il volume pubblicato da Jean M. Evans comprende un ampio studio attorno alla statuaria mesopotamica del periodo proto-dinastico. Contrariamente alle ricerche precedenti, che si sono concentrate sulla raccolta di dati e sull'analisi stilistica, la Evans propone una prospettiva differente e innovativa. La statuaria proto-dinastica è infatti analizzata da due opposti punti di vista. Il primo è relativo alla sua ricezione e interpretazione all'interno del più generale discorso sull'arte e l'evoluzione dello stile. Il secondo è uno studio di taglio antropologico e funzionale sulla statuaria proto-dinastica nel suo contesto d'uso.

Il volume è composto da sei capitoli, cui si aggiunge una chiara e sintetica introduzione e conclusione. A sua volta ogni singolo capitolo è preceduto da un'introduzione e chiuso dalle conclusioni.

I primi tre capitoli, di natura storiografica, sono dedicati alla riscoperta, percezione e interpretazione della più antica statuaria sumerica tra archeologia, antropologia fisica e teorie estetiche. In particolare, centrale risulta l'attenzione nella prospettiva dei primi studiosi del valore etnografico, piuttosto che artistico di questi oggetti, e la loro analisi in termini evoluzionistici.

Il primo capitolo ("Sumerian Origins, 1850-1930 : Making the Body Visible") sicuramente il più interessante, denso e stimolante, analizza in generale il periodo della riscoperta della civiltà dei Sumeri e delle prime ipotesi sulla loro origine. La statuaria più arcaica è funzionale in questa fase alla ricostruzione del "tipo" sumerico alla luce delle teorie dell'antropologia fisica e a sua volta deve trovare una sua collocazione all'interno di una visione evoluzionistica dell'arte.

Nel secondo capitolo ("Art History, Ethnography, and Beautiful Sculpture") l'autrice si concentra sul momento di passaggio da una valutazione delle statue quali rappresentazioni e fonte di informazione sulla "razza sumera" a una loro valutazione dal punto di vista stilistico. La Evans identifica gli anni trenta del ventesimo secolo quale momento cruciale di questa svolta e in Henri Frankfort il personaggio chiave ed esemplificativo del cambiamento. Infatti gli scavi e i ritrovamenti dell'Università di Chicago nella regione del Diyala guidati dallo stesso Frankfort avevano reso più chiara la lacunosa cronologia del periodo. La scoperta sempre negli stessi scavi di numerose statue di questo periodo, in particolare quelle da Tell Asmar, e l'edizione fattane da Frankfort spostò l'analisi di questo materiale su un nuovo piano, quello estetico e storico-artistico.

Il terzo capitolo ("Seeing the Divine : Sanctuary, Sculpture, and Display") si concentra sul contesto di rinvenimento delle statue del proto-dinastico, principalmente templi. La relazione della statua con il tempio è interpretata alla stregua di un oggetto esposto in un museo e, viziato da questa interpretazione, il contesto di rinvenimento, ovvero la disposizione delle statue nel tempio, sarebbe stato ricostruito. Tale visione, secondo la Evans, è evidentemente influenzata dal clima in cui si svilupparono la maggior parte dei primi scavi in Mesopotamia, finanziati da musei e collezionisti alla ricerca di opere da esporre. Secondo la Evans il binomio tempio = museo e museo = tempio si rivela quale chiave di lettura per l'interpretazione espositiva della statuaria arcaica nel loro contesto originario e quello moderno.

Nel quarto capitolo ("The Early Dynastic Life of Sculpture") l'autrice si occupa appunto della "vita" delle statue basandosi principalmente sulla documentazione proveniente da Lagaš e, più specificamente, l'archivio proto-dinastico della "casa delle donne" (e2- mi2) e dal periodo di Gudea. L'autrice passa in rassegna le fonti archeologiche ed epigrafiche, attingendo anche a informazioni da periodi posteriori, per delineare la "vita" della statua, dalla sua creazione —in sumerico letteralmente "generare, partorire" (tu(d)) — alla sua "attivazione" fino alla sua "morte" o disattivazione, passando attraverso i rituali di cui le sculture sono protagoniste o destinatarie. Nelle conclusioni l'autrice avanza alcune considerazioni sull'aspetto visuale della statua in funzione del fedele, in quella che definisce "corporeal aesthetics", con alcuni spunti tratti da paralleli con l'Egitto e l'India (darshan).

L'idea di un'evoluzione stilistica basata sulla tendenza al realismo e la sua elezione quale principio di datazione dei livelli protodinastici — entrambe promosse da Frankfort — sono discusse e criticate nel capitolo quinto ("Becoming Temple Sculpture : The Asmar Hoard"). Partendo dall'analisi del deposito di statue rinvenuto a Tell Asmar, la Evans procede a una differente analisi della statuaria alla luce delle evidenti prove di un riutilizzo nel tempo dell'intera statua o di alcune sue parti. L'autrice propone dunque una diversa evoluzione stilistica basata su principi interni, tra cui l'astrazione, influenzata, quest'ultima, dalle figurine di argilla. Nella parte conclusiva del capitolo, attraverso un'analisi funzionale degli oggetti, è evidenziato il passaggio alla frontalità nelle raffigurazioni, indizio di un diverso rapporto della statua con il fedele e di quest'ultimo con il contesto cultuale.

Nell'ultimo capitolo ("Gender and Identity in Early Dynastic Temple Statues"), un'analisi dell'identità del donatore porta l'autrice a delineare una distinzione di genere che si riflette in differenti pratiche e competenze cultuali. Le principali fonti sono le statue con iscrizioni, che provengono soprattutto da Mari e Nippur. Questo porta a mettere in relazione due realtà coeve, ma geograficamente e culturalmente distanti tra loro.

Nelle brevi conclusioni generali, l'autrice riprende le prospettive attraverso cui ha proceduto all'analisi della statuaria del proto-dinastico: la materialità e l'astrazione.

La statuaria mesopotamica è divenuta oggetto di interessanti studi negli ultimi anni e anche chi scrive vi ha dedicato alcuni lavori.1 L'autrice propone in questo volume una serie di riflessioni sulla statuaria del periodo più arcaico della storia mesopotamica attraverso prospettive innovative. Non vi è una fluida continuità nell'evoluzione interna degli argomenti trattati né un'omogeneità nell'ampiezza di fonti primarie e secondarie citate e discusse, ma non era neppure intenzione dell'autrice proporre un'analisi estesa ed esaustiva dell'argomento. In particolare risulta evidente che a parte il primo capitolo il resto del volume è focalizzato principalmente, se non unicamente, sulla tradizione di studi e di ricerche nordamericane. I siti e i materiali presi in considerazione e analizzati sono quelli scavati da missioni statunitensi (Nippur e Khafaja). Anche se una piccola parte è dedicata alla ricostruzione da parte di Andrae del tempio di Ištar ad Assur e alla disposizione delle collezioni europee, le tendenze e la visione generale su musei e collezioni proposta nel capitolo terzo riguarda gli Stati Uniti.

Le fonti a disposizione sono decisamente limitate e limitanti. Gli scavi, sparsi e difficilmente relazionabili tra loro, hanno prodotto una documentazione eterogenea, spesso mal presentata. La natura delle fonti preclude dunque qualsiasi tipo di analisi teso a proporre una visione generale non solo sulla statuaria, ma su qualsiasi altro aspetto di questo periodo. La Evans analizza queste fonti attraverso moderne teorie estetiche e antropologiche, senza mai forzare l'interpretazione.

Il volume della Evans costituisce un'interessante, innovativo e stimolante studio che integra un attento studio delle fonti primarie con un approccio interpretativo serio e critico. Sebbene limitato alla statuaria proto-dinastica mi auguro che il lavoro della Evans possa influenzare in tal senso le ricerche anche su altri ambiti della cultura mesopotamica.



Notes:


1.   Un contributo dedicato proprio agli oggetti iscritti dal tempio proto-dinastico (VIIB) di Inanna a Nippur presentato all'ICAANE di Madrid (2005), uno sulle fonti relative alla statuaria nel periodo neo-sumerico presentato alla 57e Rencontre Assyriologique Internationale di Roma (2011), e, infine, un articolo in stampa sulla statuaria neo-assira (in collaborazione con Davide Nadali).

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