Monday, September 3, 2012

2012.09.06

Riccardo Scarcia, Fabio Stok (ed.), Devotionis munus. La cultura e l'opera di Adamo di Brema. Testi e studi di cultura classica 47. Pisa: Edizioni ETS, 2010. Pp. 202. ISBN 9788846727435. €19.00 (pb).

Reviewed by Mario Del Franco, Università degli Studi di Napoli "Federico II" (mario.delfranco@unina.it)

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Table of Contents

Il presente volume (del quale sono disponibili online anche gli indici), dedicato alla memoria di Giorgio Brugnoli, tra i primi ispiratori dell'orientamento scientifico espresso dai saggi qui raccolti, raccoglie otto contributi, tutti in italiano, inerenti specificamente alcuni aspetti filologico-letterari dei Gesta Hammaburgensis ecclesiae pontificum, opera storiografica compilata intorno al 1075/6 da Adamo, canonico e magister scholarum a Brema dal 1066/7. Diversi saggi, come rilevano i curatori nella Prefazione (p. 9), derivano da interventi avuti luogo in occasione del Convegno Internazionale, promosso dal Dipartimento di Antichità e Tradizione Classica dell'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata" e dalla Società Culturale Classiconorroena, dal titolo Devotionis munus. Aspetti della cultura e della scrittura d'arte di Adamo di Brema, Roma 15-16 settembre 2005.

Il primo articolo, di Giancarlo Abbamonte, è dedicato a un'approfondita analisi della tradizione manoscritta dell'opera di Adamo. In particolare, l'Autore passa in rassegna le fonti note ai due editori moderni dei Gesta, Lappenberg (1846)1 e Schmeidler (1917),2 le cui scelte sono poste a confronto allo scopo di rilevare come l'edizione più recente non sia da ritenersi in ogni caso la meglio approntata: Abbamonte osserva, in primo luogo, come risulti discutibile l'apparentamento proposto da Schmeidler tra i due codici più antichi contenenti il testo dell'opera, cioè Vind. Lat. 521 (XII-XIII sec.) e Leid. Voss. Lat. 206 (frg. II 16-22 e IV) (c. 1100), per la presenza, nel secondo, degli scholia, al contrario totalmente assenti nel primo; per quanto concerne la constitutio textus, inoltre, non sempre giustificabile appare essere la preferenza accordata dallo studioso tedesco alle lezioni del manoscritto viennese, da intendersi, secondo l'Autore e sulla scorta di quanto osservato da Anne Kristensen,3 non come apografo di una prima redazione dell'opera, ma come derivante da una revisione attraverso la quale sia stato volontariamente scartato un certo numero di scoli; il contenuto di diversi dei quali, presenti in altre famiglie di codici, è d'altronde attribuibile ad Adamo, come d'altronde già rilevato in precedenza da Lappenberg.

Di seguito, Carlo Santini, partendo da un'analisi lessicale dell'opera, ne passa in rassegna alcuni degli aspetti letterari di maggiore rilievo, tra cui: l'impiego, in diverse forme e modalità, di fonti documentarie e letterarie, scritte e orali; la trattazione della tematica missionaria connessa alla legatio gentium attraverso metafore di varia ascendenza (militare, economico-finanziaria, agricola), e in relazione alla visione antropologica ed etnografica adamiana, con particolare riferimento alle popolazioni nordiche non cristianizzate; il ritratto, dai connotati biografici, del re danese Sven Estridssen (1020 ca.-1076), tra le fonti principali dell'opera per esplicita ammissione di Adamo (es. magnam huius libelli materiam ex eius ore collegi; ea quae diximus … omnia relatu illius viri cognovimus, cit. pp. 51-2), i colloqui con il quale sono descritti nei Gesta attraverso alcuni brevi accenni che a tratti sembrano alludere, nota Santini, ad un contesto scenografico di tipo "eneadico" (p. 53).

Il contributo di Anna Maranini investiga circa le possibili fonti e i possibili modelli – letterari, filosofici, teologici, dottrinali – che siano alla base del manifestarsi, nell'opera di Adamo, della vasta tematica concernente i diversi aspetti della facoltà visiva umana e divina. L'Autrice, partendo dall'analisi di numerose immagini riconducibili a tale tematica contenute nei Gesta, ne individua la matrice in primo luogo nella tradizione biblico- scritturale e patristica, oltre che in alcuni principî e concetti filosofici inerenti la natura della percezione umana e il suo rapporto con il divino, le cui origini risalgono al Platone del Cratilo e della Repubblica, per giungere all'epoca di Adamo attraverso l'Ovidio mediato da Lattanzio e la tradizione medioevale dei disticha Catonis.

Fabio Stok, dopo una breve ma utile rassegna dei più recenti orientamenti della critica letteraria circa l'analisi della biografia adamiana del vescovo di Brema Adalberto (1043-1072) – che occupa l'intero terzo libro dell'opera, e che risulta peculiare soprattutto per l'involuzione morale presentata dal personaggio, insolita nel quadro della tradizione biografica classica e medioevale – passa a presentare una serie di paralleli, sia lessicali sia concettuali, tra il testo dei Gesta e l'opera storiografica di Sallustio. Una volta presentata in termini generali, attraverso alcuni esempi, la questione dell'influsso sallustiano su Adamo -- già esplorata in passato da Giorgio Brugnoli –,4 l'Autore ne illustra il manifestarsi dapprima nei ritratti di alcuni personaggi presentati nel II libro dell'opera, e poi, in particolare, nella sopracitata biografia di Adalberto, posta a confronto con i profili di Mario, Silla, Catilina e Giugurta tratteggiati dallo storiografo di Amiterno. Stok conclude il proprio intervento rilevando come il carattere "paradossale" del ritratto di Adalberto, cioè la compresenza di aspetti positivi e negativi, sia da spiegarsi in parte ancora in relazione al modello sallustiano, in parte con la volontà di presentare la degenerazione del vescovo bremense in senso patologico, sul modello stoico, allo scopo di preservarne almeno in parte la memoria.

L'originale e interessante contributo di Serena Bianchetti individua, come modello della descrizione geografica dei territori e dei mari a nord della diocesi di Amburgo offerta in particolare da alcuni brani del quarto libro dei Gesta, una concezione dell'emisfero settentrionale come terra dai confini incerti e nebulosi, teatro di miti e invenzioni fantastiche, ormai lontana dalla visione scientifica fornita da Pitea di Massalia (IV a. C.) nel suo Peri okeanou, e piuttosto dipendente dal planisfero politico elaborato in primis da Strabone, e poi giunto, per mezzo di autori classici quali Plutarco e Plinio il Vecchio, fino a Tolomeo, passando per i Padri della Chiesa ed Eginardo: al centro di tale planisfero si colloca un'ecumene conosciuta, identificabile con il fulcro del potere costituito (l'Impero di Alessandro prima, la Roma di Augusto poi, l'Impero di Carlo Magno per Eginardo, la diocesi di Amburgo-Brema per Adamo) e circondata dalle acque che ne delimitano il confine rispetto a mondi "altri", sconosciuti e spaventosi. L'autrice prova tale ascendenza del modello geografico di Adamo analizzandone, a titolo esemplificativo, la descrizione dell'Oceano settentrionale (il Mare del Nord) come ultimo limite del mondo noto, e del Mar Baltico in senso orizzontale, cioè proteso verso l'Europa dell'est piuttosto che verso il nord, al punto da manifestare la tendenza a identificarlo con il Mar Caspio, ipotizzando possibili collegamenti marittimi o fluviali tra la sponda settentrionale e orientale del continente.

A seguire, il lungo e assai ricco studio di Stefano Andres descrive le diverse forme della rappresentazione del meraviglioso e del mostruoso nei Gesta. La presenza di tale categoria nell'opera adamiana viene esplorata in tutte le sue possibili declinazioni: dal meraviglioso cristiano, sotto la cui definizione sono ascrivibili i miracoli attribuiti ai missionari e alle reliquie dei santi, al meraviglioso dei fenomeni naturali e dei popoli mostruosi che abitano i territori settentrionali, passando per i prodigi malefici della magia; della narrazione circa i suddetti fenomeni Andres individua inoltre, di volta in volta, le possibili fonti, non omettendo di illustrare gli aspetti concettuali e lessicali dell'impiego di esse da parte di Adamo.

L'articolo di Eva Valvo è dedicato alla comparazione tra le narrazioni odeporiche ambientate nelle remote terre del misterioso Nord presenti in Adamo e nei Gesta Danorum di Saxo Grammaticus (XII-XIII sec.). In particolare, un accurato confronto è svolto tra la descrizione adamiana dei viaggi compiuti dal re di Norvegia Harald Hardrade (IV, 39) e da un gruppo di nobili frisoni (IV, 40-41), e la narrazione, in Saxo, di analoghe vicende aventi per protagonista l'eroe islandese Thorkil (VIII, 14-15): tale confronto conduce l'Autrice ad individuare diversi punti di contatto tra esse, sia nell'uso lessicale e in alcuni elementi riscontrabili nel contenuto di entrambe – ad es. il tema dell'avidità che suscita l'ira di creature mostruose, l'immagine dell'isola avvolta dalle nebbie, la preghiera rivolta a Dio nel momento del pericolo – sia, soprattutto, nella collocazione dei suddetti episodi in punti chiave della struttura di ciascuna opera, e nel comune legame tra materia mitica e tematica religiosa.

Infine, Simonetta Battista analizza un compendio in antico nordico delle vicende concernenti la cristianizzazione della Danimarca quali vengono narrate nell'opera di Adamo, contenuto in due manoscritti, AM 415 4° (inizio XIV sec.) e GKS 1005 fol. (fine XIV sec.), altrimenti noto sotto il nome di Flateyjarbók, la cui versione di tale compendio deriva da quella contenuta nel primo codice. L'Autrice pone a confronto il testo del compendio – tratto da AM 415 4° e corredato, ove necessario, di una traduzione in italiano – con quello latino dei Gesta, e passa in rassegna i fatti ivi narrati, che procedono dalla campagna danese di Ottone II nel 974 (o di Ottone I nel 948) fino alla battaglia di Svolder dell'anno 1000, rilevandone sia gli elementi critici o dubbi dal punto di vista della ricostruzione storica, sia i punti dove l'influsso dell'opera di Adamo si intreccia con quello di altre tradizioni storiografiche o letterarie di ascendenza nordica.

L'eterogeneità dei contributi presentata dal volume si risolve, com'è ovvio, in una certa varietà della trattazione anche dal punto di vista stilistico: si trovano in tal modo gli uni accanto agli altri da una parte i saggi di Abbamonte, Stok e Bianchetti, dalla serrata progressione argomentativa, e dall'altra un articolo come quello di Anna Maranini, che presenta le plausibili fonti classiche, scritturali e dottrinali della concezione dell'occhio e della vista in Adamo nell'ambito di una trattazione ricca di suggestioni di elevato interesse e fascino, sia pur a tratti – in quanto presentate, appunto, come suggestioni – distanti da quello che dové essere l'effettivo mondo culturale dell'autore dei Gesta.

Di fronte a tale eterogeneità, i riferimenti interni al volume risultano d'altronde non sempre puntuali, dandosi così diversi casi in cui gli autori trattano, sia pure da punti di vista diversi, di medesimi aspetti o luoghi dell'opera di Adamo, pur senza tuttavia fare menzione delle osservazioni di un altro studioso circa il medesimo argomento occorrenti a poche pagine di distanza: ciò è tuttavia certamente legato alla natura medesima di una miscellanea quale raccolta di saggi diversi di differenti autori. Una certa effettiva criticità è invece rappresentata dai refusi e dagli errori di stampa, occorrenti in misura leggermente maggiore di quanto sarebbe auspicabile in un'opera di tale fattura.

Il volume offre dunque, complessivamente, un prezioso e originale contributo circa le maggiori questioni letterarie e filologiche inerenti i Gesta, senza dubbio di elevato rilievo e interesse nel quadro degli studi concernenti tali aspetti dell'opera di Adamo di Brema.



Notes:


1.   Cfr. Mag. Adami Gesta Hammenburgensis ecclesiae pontificum, edente V.Cl.Io.M. Lappemberg, in MGH Scriptores VII, Hannover 1846.
2.   Cfr. Mag. Adami Gesta Hammenburgensis ecclesiae pontificum, edente Bernhard Schmeidler, in MGH Scriptores Rerum Germanicarum, Hannover-Leipzig 1917.
3.   Cfr. A. Kristensen, Studien zur Adam von Bremen Überlieferung, København 1975, pp. 11-56.
4.   Cfr. G. Brugnoli, "Modelli classici in Adam di Bremen", in Tra testo e contesto, Studi di scandinavistica medievale (I convegni di Classiconorroena 2), C. Santini (cur.), Roma 1994, pp. 5-12.

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