Thursday, July 9, 2009

2009.07.26

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Elena Gritti, Proclo: dialettica, amima, esegesi. Il filarete / Università degli studi di Milano, Facoltà di lettere e filosofia; 257. Milano: LED, 2008. Pp. 419. ISBN 9788879163859. €36.00 (pb).
Reviewed by Francesca Lazzarin, University of Verona

Testo ricco e gustoso, condotto con l'acribia tipica dell'interprete neoplatonico, il libro di Elena Gritti è condensato, in maniera nascosta (κρυφίως), già nel suo titolo: dialettica, anima ed esegesi sono i termini del processo dialettico attraverso il quale il lettore è portato a sviscerare il significato del sistema filosofico procliano, la sua originalità all'interno della storia del pensiero, il suo ruolo nell'ambito della tradizione neoplatonica. In questa prospettiva, la dialettica si manifesta, infatti, quale struttura fondante dell'attività esegetica: come la causa pre-comprende in sé l'effetto (Elem. Theol. 35 e 65), così la dialettica è la forma del reale e ciò che sta alla base di qualsiasi interpretazione del medesimo; ma il reale può dispiegarsi solo per mezzo dell'anima, natura mediatrice per eccellenza. Gritti usa l'espressione dialettica esegetica (p. 47) per indicare che la dinamica intero-parti, tanto cara a Proclo (Elem. Theol. 66-69), viene riprodotta dai movimenti dialettici di διαίρεσις e συναίρεσις: essi corrispondono, a livello esegetico, al moto discendente dei teologi, che descrivono l'ordine della natura e del divino, e a quello ascendente degli esegeti, che si fanno interpreti dei testi teologici per ritornare all'origine della verità (pp. 48-49).

Intento dichiarato dell'Autrice è affrontare la filosofia di Proclo, per quanto è possibile, da una prospettiva che non sia unilaterale, anche per cercare di integrare i contributi di studiosi dello spessore di André-Jean Festugière e Pierre Hadot, che hanno insistito sul legame fra pensiero neoplatonico e tradizioni religiose. Contributi, senz'altro, imprescindibili, ma che necessitano di una revisione finalizzata ad inserirli nell'orizzonte dell'intero sistema procliano, tenendo conto della varietà della produzione del filosofo e dei rimandi che collegano un'opera all'altra. Da un lato, quindi, uno sguardo 'totale' che permetta di interpretare Proclo alla luce di 'tutto Proclo'; dall'altro il tentativo (ben riuscito) di rintracciare un'istanza epistemologica sottesa all'incedere procliano, che viene orientato da essa e che costituisce, nel contempo, il filo conduttore dei vari approcci esegetici sperimentati dall'autore.

Nel I capitolo si parte dall'analisi dell'espressione φῶς ἀνάπτειν e dei molteplici usi che ne fa Proclo, per spiegare lo statuto della conoscenza umana: "un processo bidirezionale che si realizza nel momento della convergenza" (p. 28) fra l'illuminazione che proviene dall'alto, dalle cause superiori o per intercessione di un dio, e lo sforzo umano, consistente in un'attività originatasi in basso allo scopo di comprendere le realtà più elevate. Anche qui vi è un doppio movimento (dall'alto verso il basso e dal basso verso l'alto), il cui punto di incontro è l'anima umana: e se il significato misterico non è sufficiente a rilevare la portata semantica del φῶς ἀνάπτειν (pp. 26-28), d'altra parte il richiamo alla Lettera VII (341c7-d2), che Gritti giustamente segnala, non ci deve ricordare soltanto la metafora della conoscenza, che si accende all'improvviso come una scintilla (p. 26, nota 3), ma anche il lungo percorso esperienziale ("ἐκ πολλῆς συνουσίας γιγνομένης περὶ τὸ πρᾶγμα αὐτὸ καὶ τοῦ συζῆν": Lettera VII 341c5-d1), indispensabile per accedere alla luce della verità. La fatica dell'esercizio dialettico è infatti preliminare all'illuminazione stessa; e la dialettica è necessaria, sebbene non sufficiente, al coglimento delle realtà divine: un concetto, questo, ribadito nello stesso Parmenide (135d2-6; 136d1-e3), che avrà tanta importanza per la teologia neoplatonica.

Un altro aspetto considerato nel capitolo I è quello del ruolo assegnato da Proclo al Parmenide all'interno del corpus platonico: è noto che Giamblico aveva ripartito il canone scolastico in dodici dialoghi, a loro volta suddivisi in due branche (dialoghi fisici e dialoghi teologici), e che Timeo e Parmenide costituivano l'uno la summa delle dottrine fisiche, l'altro delle dottrine teologiche. Ma andava sottolineato che Proclo, non accontentandosi di riprendere in maniera pedissequa il dettato giamblicheo, avrebbe avvalorato la posizione del Parmenide, quasi monade che concentra in sé quello che, negli altri dialoghi, è esposto soltanto in maniera parziale: il Demiurgo del Timeo, causa particolare in rapporto alla causa assoluta che è l'Uno del Parmenide, porrebbe il primo dialogo in subordine rispetto al secondo, che lo comprenderebbe come la causa il causato (pp. 38-40).

L'esigenza di ricondurre il molteplice all'unità, le parti alla totalità si riscontra ad ogni livello: anche sul piano semantico, nel rapporto dinamico fra etimologia dei termini impiegati da Proclo e polisemia dei medesimi (pp. 43-44). La stessa osservazione si può fare prendendo in esame i modi del discorso teologico (i cosiddetti λόγοι διδασκαλικοί): se valutati alla luce del sistema complessivo procliano, essi non rivelano tanto un bisogno classificatorio, ma un metodo filosofico, e il fatto che la verità può essere espressa in forme diverse, dialetticamente intersecate tra loro (pp. 50-51 e 60-61). Merito dell'Autrice è l'aver superato l'approccio piuttosto unilaterale degli studi precedenti (citati alle pp. 50-51), facendo risaltare la trama di connessioni che impediscono di interpretare i τρόποι διδασκαλικοὶ come il tentativo di offrire un criterio alla 'storiografia teologica'.

Il capitolo II, incentrato sulla natura dell'anima e, più specificamente, sul modo in cui Proclo ha cercato di risolvere la questione plotiniana dell'anima non discesa, muove dalle critiche formulate al riguardo da Giamblico e riproposte da Proclo (pp. 70-72) per arrivare a dimostrare come, in realtà, la teoria procliana risulti influenzata dall'insegnamento di Plotino più di quanto possa sembrare ad uno sguardo superficiale. Proclo vuole trovare il mezzo per garantire all'anima umana la conoscenza degli intelligibili, senza dover ricorrere, alla maniera di Plotino, all'identificazione tra anima e Intelletto primo, ma neppure, alla maniera di Giamblico, alla teurgia come unico rimedio per ovviare alla caduta dell'anima nella dimensione corporea. Per non rinunciare ad un'epistemologia 'forte', Proclo si fonda sulla presenza innata, nell'anima umana, di ragioni essenziali (λόγοι οὐσιώδεις), che appartengono alla catena degli intelligibili in virtù della loro natura iconica (p. 74), in quanto realtà che partecipano dell'Intelletto e, prima che dell'Intelletto, degli intelligibili stessi. La differenza fra le idee psichiche e le idee intelligibili non è, allora, relativa all'essenza, ma al grado; come viene spiegato successivamente (a p. 98), vi sono due generi di causalità, uno per abbassamento o subordinazione di grado (καθ' ὑπόβασιν) e uno per modificazione d'essenza (καθ' οὐσίας ἐξαλλαγήν): il primo si manifesta nella processione interna ad ogni ipostasi, il secondo determina il passaggio da un'ipostasi all'altra, in base al rapporto modello-immagine (p. 98). L'anima umana, che non ha la sua sede nell'Intelletto (come voleva Plotino), non può essere costantemente in contatto con gli intelligibili, anche perché partecipa dell'Intelletto in maniera mediata, essendo stata generata con il concorso di cause diverse (pp. 81-82). Da un lato, quindi, non ha la stessa essenza delle realtà divine; dall'altro, avendo in sé delle "immagini essenziali delle realtà universali" (cfr. In Parm. IV, 948.26-27), ha la facoltà di attingere a queste ultime in conformità con la propria dignità ontologica, cioè psichicamente, ψυχικῶς (pp. 84-85). Ma "la gerarchia ontologica nega la possibilità di spiegare la conoscenza attraverso la presenza degli intelligibili in noi" (p. 85). Ciò che la può spiegare, invece, è il ruolo accordato alla filosofia che, promuovendo lo sforzo del soggetto nell'elevazione alle realtà divine e disponendo l'anima ad accogliere l'illuminazione dall'alto, diviene un complemento necessario per 'salvare' l'epistemologia, pur mantenendo l'anima distinta ipostaticamente dall'Intelletto.

Nell'ultimo paragrafo del II capitolo viene analizzato il rapporto fra λόγος e νόησις, allo scopo di comprendere come possa avvenire l'illuminazione dall'alto e in che modo l'intelletto possa influire sulla ragione psichica. Partendo dal parallelismo 'processione ontologica / processione noetica', l'Autrice passa in rassegna le differenze fondamentali tra l'Intelletto plotiniano e l'Intelletto procliano e le conseguenze che, nei due casi, derivano a livello gnoseologico. È nel Timeo che Proclo ravvisa gli elementi utili a provare lo stretto legame che unisce ragione e intelletto, "per cui il λόγος si perfeziona divenendo νοερός, agisce in maniera intellettiva, (...) grazie alla sua parte più alta l'anima è insieme all'Intelletto" (p. 115). Per evitare di ricadere nella dottrina plotiniana dell'anima non discesa, Proclo parla dell'affinità fra intelletto psichico e Intelletto divino nei termini di un'attività della stessa natura, non di una medesima οὐσία; ma poiché, nella sua concezione, l'attività dell'intelletto, sia umano che divino, dipende dalla propria potenza che, a sua volta, deriva dall'essenza (pp. 110-111 e 117), egli finisce per fare dell'attività intellettiva una manifestazione dell'essenza (che, a livello umano, è rappresentata dai λόγοι οὐσιώδεις) e per mettere l'anima nella condizione di conoscere le realtà divine avendo già in se stessa le potenzialità per farlo. L'originalità dell'interpretazione della Gritti sta nell'aver riportato, sulla base di importanti riscontri testuali, la teoria procliana alle sue origini plotiniane, senza trascurare le differenze che, comunque, caratterizzano ciascun tipo di approccio filosofico.

Nel III capitolo viene ripresa, da un altro punto di vista, la questione del rapporto fra ragione discorsiva e intelletto: se il capitolo precedente si concludeva affermando l'impossibilità, per l'anima individuale, di una νόησις non dianoetica, il III capitolo affronta l'argomento sul piano metodologico, tenendo presente che, per Proclo, il metodo filosofico-dialettico è correlato all'essenza dell'anima. In tale contesto, la dialettica come "gioco impegnativo", ovvero "reale" (πραγματειώδης παιδιά, secondo l'espressione usata in Parm. 137b2), si identifica con la "scienza teologica" (ἐπιστήμη θεολογική), la cui massima rappresentazione è offerta dal Parmenide. L'autrice rivede ed amplia un suo contributo di qualche anno fa1 per insistere sulle peculiarità del procedimento dialettico, che non può limitarsi ad un esercizio puramente logico, ma è sostanziato dalla corrispondenza con la realtà (p. 125): di qui la "fusione di realtà e metodo" (p.135) e la valenza πραγματειώδης del Parmenide, che si riscontra sia a livello contenutistico, sia a livello strutturale (p. 156). In questo consiste, per Proclo, lo σκοπός del dialogo.

Non manca, nella parte centrale del capitolo, un'esposizione riassuntiva delle interpretazioni del Parmenide nell'Antichità e, nello specifico, della seconda sezione del dialogo, relativa alle varie ipotesi (pp. 154-165); il che permette all'Autrice di dedicare uno spazio anche alla teoria procliana della dialettica, come sviluppata nel Commento al Parmenide, e alle sue tre funzioni fondamentali (pp. 177-184): quella di esercitare la διάνοια, favorendo così il "risveglio dell'intelletto"; quella confutatoria, che ha lo scopo di purificare l'anima dall'errore e dalle falsità; infine, la funzione più elevata, grazie alla quale è possibile l'indagine delle realtà divine. La διάνοια risulterà così, almeno a livello psichico, sussunta ed inverata dalla νόησις (p. 183), come la logica è sussunta e inverata dalla dialettica e gli effetti lo sono dalle cause.

Dopo aver discusso della natura e delle funzioni del metodo dialettico, nel capitolo IV ci si occupa di indagarne la struttura interna: una struttura logica, che ha lo scopo di dispiegare la gerarchia ontologica, caratterizzata da connessione e continuità (συνέχεια). Rielaborazione feconda di motivi noti in seno al neoplatonismo (come viene dimostrato considerando alcuni luoghi del Didascalicus di Alcinoo, alle pp. 192-197), il metodo dialettico di Proclo rappresenta l' "accordo tra leggi causali dell'essere e meccanismi del pensiero psichico, che di quelle rappresentano un analogo gnoseologico" (p. 198). L'esame comparato di passi tratti da diverse opere di Proclo (la Teologia platonica, il commentario al Cratilo e, successivamente, il commento al Parmenide) è finalizzata a chiarire, da un lato, che il filosofo neoplatonico fonda la validità epistemologica del metodo sull'imitazione della realtà e dei processi metafisici (caso esemplare quello di divisione e analisi, che riflettono, in ambito causale, la πρόοδος e l'ἐπιστροφή), al punto che la dialettica viene ad assumere un ruolo anche nella costituzione dell'essenza dell'anima (pp. 199-202); dall'altro che la sua teoria del metodo non va interpretata secondo uno schema rigido, cercando ad ogni costo di scoprire l'ordine assiologico dei quattro procedimenti dialettici nei quali si sviluppa il metodo stesso (divisione, definizione, dimostrazione e analisi), ma va intesa in maniera dinamica, visto che la dialettica è la legge, il λόγος di una realtà dinamicamente concepita e che i quattro procedimenti succitati "offrono differenti punti di vista sulla medesima realtà" (p. 203), che si integrano e interagiscono a vicenda.

Del metodo procliano bisogna poi cogliere, oltre agli elementi riconducibili ai dialoghi platonici, gli aspetti che dipendono dalla logica aristotelica e, inoltre, dal pitagorismo (come viene evidenziato alle pp. 207-210), fermo restando che è l'autorità platonica a fungere da modello essenziale. La dialettica di Proclo risente, in particolare, dell'influenza dell'epistemologia plotiniana, pur senza negare validità alla gnoseologia aristotelica, che va tenuta comunque ben distinta dal metodo che coniuga logica e ontologia: i λόγοι οὐσιώδεις, che costituiscono, per Proclo, l'essenza dell'anima, hanno un valore causativo e non soltanto conoscitivo, in virtù del fatto che sono immagini (εἰκόνες) delle idee intellettive (εἴδη νοερά) (pp. 224-225 e 242-243). Per questo sono πρότερον τῇ φύσει sia rispetto agli universali immanenti alle realtà sensibili (ἔνυλα εἴδη), sia rispetto ai concetti ricavati, alla maniera aristotelica, per astrazione (ὑστερογενῆ), che esistono esclusivamente sul piano mentale e non sono sostanziali (pp. 225 e 236-237), sia per la dialettica stessa (pp. 244-250). Proclo introduce, grazie alle ragioni essenziali, un ulteriore livello gnoseologico e ontologico, che va a costituire il fondamento della scientificità del metodo dialettico (pp. 237-239) e, allo stesso tempo, gli permette di prendere le distanze dalla logica formale aristotelica, dominio della facoltà opinativa, e dalla plotiniana concezione dell'anima non discesa.

Il capitolo V affronta, di nuovo, l'argomento della dialettica procliana, ma ricercandone il fondamento metafisico: un fondamento testimoniato dall'esattezza e dall'inconfutabilità della conoscenza scientifica, la cui certezza viene garantita "dall'alto" (ἄνωθεν), cioè dalla visione intellettiva. "(...) l'inconfutabilità denota i legami necessari stabiliti tramite dimostrazione" (p. 260): il procedimento dimostrativo, infatti, si rivela il più adatto a sviluppare in maniera concatenata e consequenziale l'unità concentrata dei principi intelligibili. Questi ultimi, oggetto della scienza, assicurano stabilità e verità ai discorsi che li concernono e, oltre che ad essi, alla facoltà preposta a conoscerli: tant'è che i tre fattori in questione (oggetti intelligibili, scienza e soggetto conoscente) costituiscono i 'momenti' di un processo circolare nel quale la causa è rappresentata dagli intelligibili e il causato dalle ragioni essenziali presenti nell'anima; ad esse la dialettica, come attività psichica più elevata, deve volgersi, se vuole ritornare ai principi medesimi (pp. 261-264). Ne viene (e l'osservazione è acuta) che non soltanto i λόγοι sono suscettibili di confutabilità, ma le stesse facoltà psichiche, che scivolano nell'errore ogniqualvolta pretendano di operare indipendentemente dalle altre o qualora il percorso conoscitivo si interrompa prima di essersi concluso (pp. 264-267). L'unica facoltà assolutamente inconfutabile risulta l'intelletto, che coglie in maniera simultanea il suo oggetto e, nel contempo, dirige la ragione psichica alla conoscenza dell'essere, imprimendole, tramite l'illuminazione (ἔλλαμψις), la sua proprietà caratteristica: di essere, cioè, tutte le cose, avendo in sé la totalità delle idee. L'anima umana diventa allora "intelletto che dispiega se stesso", pur rimanendo un νοῦς λογικός, ovvero un'ipostasi distinta dalla superiore, dalla quale dipende la sua stessa esistenza (p. 270).

Degni di nota i raffronti finali fra la terminologia utilizzata da Proclo per descrivere la scienza dialettica (in particolare, in relazione al vocabolo συνάρτησις, che corrisponderebbe, da un punto di vista logico, alla τάξις τῶν ὄντων a livello ontologico) e il lessico presente in certi passi di Sesto Empirico, Alessandro di Afrodisia e Plutarco (pp. 295-302).

Nel VI ed ultimo capitolo Gritti riprende il filo dell'introduzione, dichiarando che, nella presente monografia, si è privilegiata, nello studio del pensiero procliano, la ricerca dell'istanza razionalistica a 'scapito' degli argomenti legati al misticismo. Questa scelta non è stata compiuta per trascurarli o per metterli in secondo piano, ma per ripensarli alla luce di una prospettiva più ampia, che non si limiti ad evidenziare il contrasto fra i due aspetti, ma ne faccia risaltare l'armonia: infatti, "razionalismo e misticismo non costituiscono vie alternative ai fini della conoscenza" (p. 338). Tenendo come punto di riferimento il concetto di ἐνθουσιασμός e i modi in cui compare nella letteratura greca (l'ispirato può essere una sorta di messaggero della divinità éo un poeta, che funge da strumento del dio per comunicare la verità; ma vi è anche il caso in cui non perde la propria individualità e vive l'esperienza mistica esercitando attivamente le sue capacità razionali), Gritti passa a tracciare le differenze tra il significato dell'ispirazione divina nel percorso conoscitivo descritto da Plotino, Giamblico e Proclo (pp. 311-325). Ne risulta che quest'ultimo, pur essendo notoriamente influenzato dalla teurgia di Giamblico, propone una mistica "ancora razionale" (p. 337), che si può accostare, per vari motivi, a quella di Plotino, benché il fondamento dell'anima umana non sia più l'Intelletto primo (che, anzi, perde il ruolo di mediatore nel cammino di ritorno all'Uno), ma il fiore dell'anima, centro unificatore di tutte le potenze psichiche e non soltanto della facoltà intellettiva (cfr., in particolare, p. 323). In tal senso, l'ἐνθουσιασμός diviene la massima esperienza conoscitiva dell'anima, che ad esso si dirige in maniera consapevole e non spossessata delle sue facoltà a causa dell'intervento divino, come era per Giamblico (p. 324).

Nel contesto del rapporto fra razionalità e misticismo, l'Autrice si interroga anche sul posto da assegnare agli Oracoli caldaici all'interno della scienza teologica di Proclo. Senza voler pretendere di dare una risposta definitiva, la via che si suggerisce di seguire è quella di considerarli come "l'analogo intellettivo della scienza dianoetica del Parmenide, almeno nella misura in cui esporrebbero il medesimo contenuto, ma senza svolgimento dimostrativo" (p. 328). Gli Oracoli, il cui insegnamento sarebbe immediatamente evidente in quanto frutto di rivelazione, a confronto con il contenuto del Parmenide, assai più complesso e suscettibile di fraintendimenti, esigerebbero allora, nella concezione di Proclo, di essere passati al vaglio della dialettica, allo scopo di comprenderne la valenza dimostrativa (pp. 329-331). D'altra parte, se gli Oracoli erano impiegati dai neoplatonici alla stregua di una 'Bibbia pagana', Gritti sottolinea che, per Proclo, a questo ruolo poteva assurgere piuttosto il Parmenide (pp. 333-334): esso infatti esprime, meglio di qualunque altro dialogo di Platone, l'equilibrio fra componente razionalistica e componente misterica (p. 337).

È difficile rendere, in maniera sintetica e precisa, un lavoro dettagliato ed esaustivo come quello offertoci dal presente studio. Fine conoscitrice dei testi platonici e neoplatonici, Elena Gritti riesce nell'intento di mostrarci le molteplici facce dell'universo filosofico procliano e fornisce numerosi spunti per ulteriori approfondimenti.



Notes:


1.   Contributo uscito in Platone e la tradizione platonica. Studi di filosofia antica, a cura di M. Bonazzi e F. Trabattoni, Milano, Cisalpino, 2003, pp. 265-299.

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