Monday, March 16, 2009

2009.03.30

Michel Fattal, Plotino, gli Gnostici e Agostino (Traduzione italiana di Amalia Riccardo). Skepsis 20. Napoli: Loffredo Editore, 2008. Pp. 164. ISBN 9788875642785. €14.00 (pb).
Reviewed by Cinzia Arruzza, Universität Bonn (arruzza@uni-bonn.de)

Questo agile volumetto offre al lettore italiano l'accurata ed elegante traduzione di un'opera di Michel Fattal, frutto dei seminari di ricerca ( Masters 1 e 2) da lui diretti all'Università di Grenoble, dal 2003 al 2006. Il volume si compone di due parti: la prima, Plotino in Agostino, ben più ampia, è dedicata all'analisi dei rapporti tra il vescovo di Ippona e la filosofia neoplatonica; la seconda, per brevità e autonomia rispetto al resto dell'opera simile piuttosto a un'appendice, ha per titolo Plotino di fronte agli Gnostici.

Nella prima parte, articolata in quattro capitoli, l'autore affronta la questione dell'incontro tra il cristianesimo agostiniano e la metafisica ellenica, in particolare platonica e neoplatonica. L'intreccio di neoplatonismo e cristianesimo nell'opera agostiniana non viene analizzato in astratto, ma attraverso l'approfondimento di alcune nozioni chiave, prima tra tutte quella di conversio, che costituisce l'oggetto del primo capitolo. Oltre a offrire un breve excursus del dibattito critico ormai classico concernente le letture platoniche e neoplatoniche di Agostino (secondo P. Henry, Agostino avrebbe letto solo due trattati plotiniani, in traduzione latina, I 6, Sul Bello e V 1, Sulle tre ipostasi principali, mentre secondo autori come A. Solignac, O. du Roy e A. Mandouze la messe di trattati di cui Agostino venne a conoscenza in forma diretta o indiretta sarebbe invece ben più ampia (pp. 40-41)) e a mettere in rilievo gli elementi di contiguità tra la nozione agostiniana di conversio e quella plotiniana di epistrophê, Michel Fattal evidenzia con chiarezza anche gli elementi di discontinuità e innovazione tra le due. In particolare, nel carattere fortemente personale non solo del percorso di conversione, ma anche della relazione intrattenuta con Dio e nel ruolo decisivo della grazia e dell'incarnazione, vengono individuati gli elementi di maggiore discrepanza. La nozione di un Dio personale rappresenta, nell'interpretazione dell'autore, lo spartiacque che consente di pensare l'originalità della posizione agostiniana di fronte alla tradizione neoplatonica. E, infatti, ritroviamo questa medesima idea come filo conduttore dell'argomentazione e dell'interpretazione anche nei capitoli successivi.

Nel secondo capitolo viene sviluppata in particolare la nozione di ictus, con cui vengono designati lo choc o la scossa di cui Agostino fece l'esperienza a conclusione del percorso di ascesa verso il divino. Dall'analisi del libro VII cap. 17 delle Confessioni emerge una dialettica dell'elevazione per gradi che, secondo Fattal, rimanda da vicino alla dialettica ascensoria sviluppata da Plotino nel trattato Sul Bello. Tuttavia, mentre in questo trattato, e nel suo modello, il Simposio di Platone, ci troveremmo di fronte a una gradazione estetico-etica avente uno scopo ontologico e metafisico (l'idea del Bello in sé che è l'Essere), in Agostino avremmo una gradazione gnoseologica, cioè relativa alle differenti facoltà psichiche, con uno scopo anch'esso ontologico e metafisico (attingere ciò che è).

Se la nozione agostiniana di ictus corrisponde a quella plotiniana di plêgê, con il suo carattere di immediatezza dell'esperienza vissuta, tuttavia la natura personale della relazione con Dio marca una differenza fondamentale tra i due approcci: da un lato abbiamo un percorso di ascesa che implica un intervento attivo e diretto da parte di Dio e che conduce alla costituzione del soggetto nella sua differenza ontologica con l'oggetto amato (il Creatore), dall'altro un percorso di ascesa analogamente graduale, ma che non prevede alcun intervento da parte dell'Uno-Bene e che conduce a un'unione e un'identificazione, per quanto provvisoria e di breve durata, dell'anima contemplante con il contemplato.

Nel terzo e quarto capitolo viene, infine, ricostruito cursoriamente il percorso che nell'ambito del medio e neoplatonismo ha condotto all'elaborazione del concetto di triade divina, partendo dall'influenza esercitata dalla Lettera II, erroneamente attribuita a Platone, sulla tradizione medioplatonica e su autori come Moderato di Gades, Numenio e lo stesso Plotino, sino ad arrivare alle interpretazioni cristiane delle "tre ipostasi" plotiniane. Se viene messa in luce anche in questo caso l'influenza esercitata dai trattati plotiniani, e da Porfirio, sulla dottrina trinitaria agostiniana, vengono evidenziati anche gli elementi di divergenza, per i quali ancora una volta rivestono un ruolo cruciale i concetti di persona e Dio personale, che, mentre contraddistinguono la trinità agostiniana, non possono in alcun modo essere applicati alle ipostasi neoplatoniche. L'originalità agostiniana rispetto alle riflessioni platoniche e neoplatoniche sulla triade consisterebbe, inoltre, secondo Fattal, nell'integrare la molteplicità delle tre persone all'interno della semplicità dell'essenza o della natura divina e nell'articolazione della categoria dinamica di relazione.

Come dichiarato esplicitamente dallo stesso autore, la seconda parte, dedicata alla polemica antignostica condotta da Plotino nel trattato 33 (Enn., II 9), non mira a una ricostruzione dei rapporti effettivamente intercorsi tra il filosofo e le sette gnostiche presenti a Roma né a fornire una risposta alla domanda che ha impegnato a lungo gli interpreti di questo scritto, da Puech a Tardieu, su quali siano le correnti gnostiche a cui fanno effettivamente riferimento Plotino nel trattato 33 e Porfirio nel capitolo 16 della Vita di Plotino. Essa intende piuttosto analizzare brevemente alcuni dei motivi di fondo delle critiche rivolte dal filosofo alla concezione gnostica di Dio e del mondo, sulla falsariga della contrapposizione tra un "atteggiamento profondamente ellenico" e un "atteggiamento anti-greco e anti-platonico" (p. 120). Dopo aver, dunque, offerto un breve status quaestionis dei problemi di interpretazione storica del trattato e aver abbracciato l'ipotesi interpretativa, non nuova, secondo la quale il trattato Contro gli Gnostici sarebbe rivolto sia contro la corrente valentiana sia contro quella sethiana (cap. 1), nel secondo capitolo Fattal ripercorre il trattato plotiniano, individuando nell'anticosmismo gnostico il bersaglio fondamentale della critica di Plotino.

Con questo volume, Fattal si colloca all'interno di un'ampia tradizione storiografica che ha messo a tema e analizzato la questione dei rapporti tra cristianesimo e pensiero platonico e neoplatonico, dando luogo a un ampio dibattito tra ipotesi interpretative divergenti. Se un autore come H. Dörrie ha sostenuto che gli autori cristiani dei primi secoli della nostra era si sarebbero limitati a usare strumentalmente il linguaggio, le metafore e le forme esteriori della filosofia platonica e che dunque la continuità tra pensiero cristiano e metafisica ellenica sarebbe stata di natura puramente linguistica, altri studiosi come E.P. Meijering, F. Ricken e C. De Vogel1 hanno messo in luce come, lungi dal rappresentare un mero impiego di un insieme di citazioni, particolarmente adatte a esser di sostegno alle affermazioni delle Scritture e ai principi della dottrina cristiana, l'incontro con il platonismo ha prodotto un pensiero con caratteristiche specifiche e nuove, all'interno del quale le stesse espressioni prese a prestito dalla tradizione metafisica greca acquistano spesso un significato parzialmente o del tutto differente. Questo volume di Fattal si colloca, a mio avviso, correttamente sulla scia di questa seconda proposta interpretativa, puntando a mostrare da un lato l'effettiva influenza esercitata da alcune nozioni chiave della tradizione filosofica neoplatonica sul pensiero di Agostino, dall'altro a mettere in luce come queste stesse nozioni si siano fuse con elementi più strettamente legati all'esegesi scritturale e all'elaborazione teologica cristiana, mutando così di valenza e dando luogo a un pensiero originale. Come scrive l'autore, "sebbene Agostino si appropri di una certa parte dell'eredità filosofica antica, facendo sue alcune categorie del platonismo e del neoplatonismo quali, per esempio, il sensibile e l'intelligibile, l'uomo esteriore e l'uomo interiore ... rimane, nondimeno, che Agostino conferisce ad alcune di queste categorie un senso nuovo e che si assiste in lui ad un'autentica trasposizione cristiana del platonismo e del neoplatonismo" (p. 36).

Questa prospettiva guida anche la lettura della vicenda biografica della conversione di Agostino. Inserendosi anche in questo caso in un ampio dibattito critico,2 Fattal pone l'accento sul carattere graduale di tale conversione, che sarebbe passata attraverso una molteplicità di conversioni: alla saggezza filosofica (tramite la lettura dell'Hortensius), al manicheismo, al neoplatonismo (tramite la mediazione offerta da Ambrogio e l'incontro con i Platonicorum Libri ) e al cristianesimo. Un percorso, dunque, graduale e costellato da momenti di passaggio, all'interno del quale le due ultime conversioni sarebbero "strettamente legate" (p. 30), anche se non sovrapponibili e pienamente identificabili. Tanto che è possibile e anzi necessario distinguere nel pensiero agostiniano la "linea di demarcazione che separa le due tradizioni" (p. 15). Su questo medesimo legame, ma escludendo in maniera convincente che si possa parlare di una conversione al neoplatonismo, da collocarsi nel 386, preliminare alla successiva e graduale conversione al cristianesimo, da situarsi negli anni dal 386 al 400, insiste anche Ch. Horn:3 anche gli sforzi filosofici di Agostino degli anni precedenti al 386 sarebbero dunque stati indirizzati a trovare una forma razionale e filosofica accettabile al dato della rivelazione.

La Parte I di questo saggio offre, in conclusione, un'esposizione chiara e ricca di spunti e approfondimenti interessanti di alcuni concetti chiave del pensiero agostiniano che consentono effettivamente un angolo di visuale persuasivo sulla questione più generale della relazione tra tradizione neoplatonica e cristianesimo nell'opera del vescovo di Ippona.

La Parte II del volume individua in maniera corretta nell'anticosmismo gnostico uno dei motivi principali di polemica da parte di Plotino. Meno convincente è, invece, la lettura dell'opposizione tra ellenismo plotiniano e antiellenismo gnostico in termini di contrapposizione tra razionalità e irrazionalismo, lettura che meriterebbe un approfondimento e un'articolazione maggiori, che le breve pagine dedicate all'analisi del trattato 33 non offrono (cfr. pp. 129-130). Per quanto Plotino accusi gli gnostici di non aver ben appreso a parlare la lingua greca, cioè la lingua della filosofia, il riferimento alla cattiva esegesi di Platone in quanto origine dell'errore gnostico, che ricorre più volte nel trattato 33, induce piuttosto a pensare a un tentativo di razionalizzazione della questione del male da parte degli gnostici con cui il filosofo polemizza e dunque a uno scontro giocato sul terreno della corretta interpretazione della tradizione metafisica greca.

Questi due brevi capitoli rappresentano una sintetica, ma chiara e per molti aspetti persuasiva, lettura di Enn. II 9. Lettura che, però andrebbe integrata quantomeno da un riferimento ai trattati 30, 31 e 32 (Enneadi III 8, V 8, V 5) che, come hanno mostrato in modo del tutto convincente R. Harder e V. Cilento 4, alle cui conclusioni Fattal non fa cenno, rappresentano insieme al trattato 33 un lungo dossier antignostico successivamente suddiviso nell'edizione porfiriana.

Notes:

1. Su questo dibattito si possono vedere: H. Dörrie, Was ist spätantiker Platonismus?, "Theologische Rundschau", 36 (1971), 285-302; Id., Die andere Theologie, "Theologie und Philosophie", 56 (1981), 1-46; E. P. Meijering, Zehn Jahre zum Thema Platonismus und Kirchenväter, "Theologische Rundschau", 36 (1971), 303-320; F. Ricken, Zur Rezeption der platonischen Ontologie bei Eusebios von Kaisareia, Areios und Athanasios, "Theologie und Philosophie", 53 (1978), 321-352; C. De Vogel, Platonismo e cristianesimo. Antagonismo o comuni fondamenti?, Milano: Vita e Pensiero, 1993.

2. L'autore ripercorre questo dibattito nell'Introduzione, pp. 12-15. Cfr. a tale proposito anche Ch. Horn, Augustinus, München: Beck, 1995 (trad. it.: Sant'Agostino, Bologna: il Mulino, 2005, pp. 21-25).

3. Horn, ibid.

4. Cfr. R. Harder, Eine neue Schrift Plotins, in "Hermes", 7 (1936), 1-10; V. Cilento, Paideia antignostica. Ricostruzione di un unico scritto da "Enneadi" III 8, V 8, V 5, II 9, Firenze: F. Le Monnier, 1971.

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