Sunday, September 21, 2008

2008.09.47

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Robert Rollinger, Andreas Luther, Josef Wiesehöfer (ed.), Getrennte Wege?: Kommunikation, Raum und Wahrnehmung in der Alten Welt. Oikumene Studien zur Antiken Weltgeschichte, Bd. 2. Frankfurt am Main: Verlag Antike, 2007. Pp. 655. ISBN 9783938032145. EUR 79.90.
Reviewed by Leonardo Gregoratti, University of Udine

Il volume raccoglie una serie di contributi presentati in occasione del Deutscher Historikertag 2004 a Kiel nelle sezioni "Wege als Medium der Kommunication zwischen Mittelmeer und Indischem Ozean in der Antike" e "Alte Geschichte und Alter Orient, Ein Plädoyer für Universalgeschichte". Ad essi si aggiungono alcuni contributi presentati nel 2005 al convegno di Innsbruck intitolato "Kulturelle Begegnungmuster jenseits der Levante" assieme a scritti di altra provenienza. Tutti gli articoli sono accomunati dal fatto di affrontare delle tematiche relative al vicino Oriente e al mondo greco-romano prestando particolare attenzione ai contatti tra tali due realtà. Gli studiosi si occupano di problemi appartenenti a molte e diverse discipline gettando luce su problematiche relative all'incontro tra mondo occidentale e orientale in contesti quantomai diversificati sia cronologicamente e sia spazialmente.

Il contributo di Van Dongen ("Contacts between pre-classical Greece and the Near East in the context of cultural influence: An overview") mira a offrire una panoramica riassuntiva dei contatti tra Grecia preclassica e il mondo vicino orientale. L'intervento, volutamente schematico, si articola attraverso la suddivisione in tre aree temporali, tarda età del Bronzo, Medioevo Ellenico e periodo Arcaico. Le emergenze storiche ed archeologiche relative a ciascun periodo sono quindi illustrate secondo l'area geografica di appartenenza: Anatolia, Cipro e Levante, Mesopotamia ed Egitto. Scopo dello studioso è quello di presentare agilmente le prove concrete in grado non solo di attestare l'eventuale presenza occidentale in oriente, ma principalmente di indicare quale tipologia di contatti, ad esempio presenza di oggetti, presenza a scopo insediativi o frequenza commerciale, le emergenze prese in esame sono di volta in volta in grado di comprovare.

L'indagine dell'Hartmann ("Wege des Wissens. Formen des Gedankenaustauschs und der kulturellen Beeinflussung zwischen dem spätantiken Rom und dem Sasanidenreich") ha per oggetto l'insieme delle relazioni culturali, sociali, politiche e religiose sulle quali si basava la reale conoscenza che il regno Romano-Bizantino e la Persia sasanide avevano l'uno dell'altra. Al contrario di quanto lascerebbe supporre la lettura dell'excursus persiano di Ammiano Marcellino, in larga parte basato su notizie antiquate e su una visione stereotipata del mondo orientale, le occasioni di contatto e interscambio tra i due imperi non mancarono tra il III e VII secolo d.C. L'interesse per le genti di oltre confine rimase tuttavia proprio di una ristretta cerchia di intellettuali, politici, mercanti e religiosi. Per la maggioranza della popolazione dell'impero i Persiani rimasero sempre una popolazione "barbara" e il limes orientale non smise mai di essere considerato il limite ultimo del mondo civilizzato.

L'adozione dell'alfabeto da parte dei Greci e le modalità della sua acquisizione in Occidente costituiscono il principale oggetto della riflessione di M. Krebernik ("Buchstabennamen, Lautwerte und Alphabetgeschichte"). Lo studioso analizza i punti di contatto tra alfabeto fenicio e greco prendendo in considerazione il nome e il valore fonetico dei singoli segni e verificando la sostanziale continuità degli stessi anche nel sistema greco. Secondo la sua ricostruzione numerose sotto tale aspetto sarebbero le connotazioni derivanti dal mondo orientale, in particolare semitico nord-occidentale. L'analisi inoltre evidenzierebbe in modo sostanziale l'origine fenicia e non aramaica dell'alfabeto contribuendo in alcuni casi a rendere più comprensibile l'utilizzo di alcune lettere nel mondo greco.

Due iscrizioni bilingui fenicio-luvie provenienti da Çineköy e da Karatepe nell'attuale Turchia sono messe a confronto da Giovanni Lanfranchi ("The Luwian-Phoenician bilinguals of Çineköy and Karatepe"). Il primo testo è opera di Warikas, monarca del regno di Cilicia nella seconda metà del VIII secolo a.C., personaggio noto da vari documenti assiri redatti sotto Tiglath-pileser III e Sargon II, successivamente caduto in disgrazia presso la corte assira poco prima di perdere il trono ed essere sostituito alla guida del regno da un governatore da essa nominato. Il secondo testo è opera del monarca Azatiwatas, successore di Warikas, non per nascita, ma per scelta di quest'ultimo. Azatiwatas fu capace di ristabilire il potere monarchico dopo una fase di crisi e ribellioni. L'approfondito esame parallelo dei due testi rivela che Azatiwatas, pur sottolineando la differenza sostanziale di rango dal suo legittimo predecessore, sembra celebrare non tanto se stesso, in opposizione a Warikas, quanto la superiorità delle sue scelte politiche e in particolare la chiara opposizione ad una politica filoassira, assunta dal suo predecessore e rivelatasi disastrosa per le sorti del regno.

Joachim Olsen ("30 Thesen zum Thema "Aramaisierung, Hellenisierung, Iranisierung Babyloniens"") affida il proprio punto di vista sul tema dell'influenza culturale aramaica, ellenistica e iranica in Babilonia ad un elenco di trenta osservazioni, aventi il merito di fornire un quadro completo e chiaro di una problematica così complessa, presentando nel contempo in modo efficace tutti i molteplici aspetti della questione. Secondo l'autore è fuorviante parlare di una aramaizzazione della Babilonia come del resto di una sua successiva ellenizzazione. I culti tradizionali e l'uso della lingua e scrittura accadica sono ampiamente attestati ben oltre l'occupazione greca e l'avvento del dominio arsacide. L'influenza culturale aramaica prima ed ellenistica poi sembrano essere state decisamente contenute in Babilonia, mentre la cultura locale sembra continuare ad esistere ed ad essere dominante sino all'epoca arsacide. In tale periodo si verificano i maggiori cambiamenti nella direzione di una sempre più accentuata importazione di valori culturali ellenistici. Solo alla fine di tale periodo tuttavia, e in corrispondenza con l'inizio della dominazione sasanide, la tradizione babilonese sembra cedere il passo ad una nuova cultura che risulta riduttivo definire semplicemente come iranica in quanto fortemente influenzata da elementi giudaici e più tardi cristiani.

Nel contributo successivo Stefan Hauser ("Tempel für den palmyrenischen Bel") prende in considerazione due testi palmireni della prima metà del I secolo d.C. A differenza di quanto comunemente ritenuto, i due documenti, rinvenuti nell'area del santuario di Bel a Palmira, non farebbero riferimento alla costruzione del tempio cittadino, ma secondo l'opinione dello studioso rivelerebbero l'attività edilizia dei cittadini dell'oasi siriana nelle due città di residenza menzionate nelle epigrafi: Babilonia e Seleucia al Tigri. Esempi di santuari palmireni sono già noti sia nell'impero che in territorio arsacide, a Dura Europos, a Vologesia, a Roma e in Dacia. Inoltre solo dal II secolo d.C. il principale santuario palmireno sembra essere ricordato con la definizione di "Tempio di Bel", la medesima che compare nei testi presi in considerazione. In tutti gli altri testi ad essi contemporanei esso è indicato come "Tempio degli Dei". Per l'autore tale fatto sembra dimostrare che i due documenti non farebbero riferimento al santuario cittadino bensì a due ulteriori luoghi di culto edificati dai cittadini della città-oasi in territorio parthico.

L'indagine di Robert Rollinger ("Zu Herkunft und Hintergrund der in altorientalischen Texten gennanten 'Griechen') si focalizza attorno al termine babilonese utilizzato per indicare i Greci: Iamnâja o Iamanâja. Sembra evidente che il concetto geografico espresso dal termine sia mutato nel corso dei periodi neoassiro, babilonese e infine achemenide. Inizialmente sembra che con tale definizione fossero designati gli abitanti della costa nord-occidentale dell'Anatolia, concetto poi allargatosi a comprendere quasi sicuramente la Grecia insulare e molto probabilmente parte di quella continentale. Pare interessante notare inoltre che il termine in molte occasioni venne usato anche in riferimento a singoli personaggi di stirpe non greca o microasiatica. Sembra quindi indubbia la estrema varietà del campo semantico ad esso corrispondente.

Un problema simile ma trasposto nell'Egitto preromano è quello affrontato da Joachim Quack ("Das Problem der H3w-nb.wt"). L'uso del termine egiziano "H3w-nb.wt", sembra essere stato oggetto per molto tempo di un'accesa discussione. Numerosi studi, le cui conclusioni l'autore riporta con notevole completezza, hanno cercato di delineare l'area geografica cui esso farebbe riferimento. Sembra che in senso lato e in origine il termine si riferisse ad un'area non meglio definita a settentrione dell'Egitto venendo a comprendere con il trascorrere del tempo l'Asia minore meridionale, il Levante e quindi la Grecia. L'autore, pur ammettendo le difficoltà nella ricerca di una precisa indicazione geografica, esclude che tale termine abbia indicato la zona settentrionale del delta analizzando dettagliatamente la documentazione utilizzata da alcuni studiosi per comprovare tale ricostruzione.

Un taglio eminentemente linguistico-filologico caratterizza l'intervento successivo. Rüdiger Schmitt ("Volksetymologische Umdeutung iranischer Namen in griechischer Überlieferung") si occupa di una tematica complessa: le deformazioni subite dai nomi propri di origine iranica nell'ambito della tradizione letteraria ed epigrafica greca. Esistono molti casi di nomi propri iranici resi in greco in una forma sostanzialmente diversa da quella originale. Tramite un'ampia gamma di esempi, tra i quali il più noto è forse costituito dal termine Baga- , dio, che compare in greco sotto forma di μεγα-, l'autore cerca di illustrare le modalità del fenomeno ribadendo che la difficoltà principe in una tale indagine risiede nel fatto che non è possibile delineare delle regole linguistiche universalmente applicabili, ma è necessario considerare ogni caso nella sua singolarità indagando la situazione sociolinguistica specifica che ne sta all'origine.

Andreas Luther ("Die verspätete Ankunft des spartanischen Heeres bei Marathon, 490 v. Chr.") discute le cause del ritardo che impedì al contingente militare spartano di prendere parte alla battaglia di Maratona del 490 d.C. Alla richiesta di soccorso ateniese i responsabili spartani risposero, secondo Erodoto, che in base alla legge non era possibile mettersi in marcia prima della successiva fase di luna piena. La necessità di attenersi a tale norma avrebbe impedito alla spedizione lacedemone di partecipare allo scontro. L'autore respinge i tentativi di interpretazione di tale comportamento in chiave religiosa. Secondo il Luther il ritardo non fu determinato da precetti cultuali quanto dall'esigenza di attendere la successiva riunione dell'assemblea cittadina, fissata per legge ad ogni plenilunio appunto, unico organo in grado di prendere una decisione di tale rilevanza politica.

Stephanie West ("'Falsehood grew greatly in the land': Persian intrigue and Greek misconception") indaga le circostanze della presa di potere in Persia da parte di Dario confrontando il resoconto fornito dallo stesso monarca nella stele di Behistun con la narrazione erodotea. Quest'ultima completa utilmente l'esposizione dei fatti presentata dal monarca, ma non può secondo l'autrice essere utilizzata al fine di minare la veridicità del resoconto regale. Secondo una ricostruzione dei fatti basata su una composizione degli eventi riportati dalle due fonti, Cambise alla vigilia della campagna egiziana, e non dopo come asserito da Erodoto, avrebbe fatto assassinare il fratello per poi sostituirlo con un sosia ed evitare in tal modo disordini. Supportato da dignitari di corte il sostituto avrebbe assunto in un secondo tempo il potere eliminando Cambise stesso. Compito di smascherare e detronizzare l'usurpatore sarebbe toccato quindi allo stesso Dario, non imparentato con la famiglia regnante, al quale le circostanze avrebbero così fornito un eccellente pretesto per impadronirsi del potere.

Il contributo di Hillmar Klinkott ("Der "Oberste Anweiser der Strasse des Pharao Xerxes") discute il testo di un'epigrafe dall'Egitto persiano nella quale pare i faccia menzione di un funzionario di corte la cui attività sarebbe stata in qualche modo connessa con la costruzione delle strade regie.

Rémy Boucharlat ("Achemenid residences and elusive imperial cities") approfondisce con gli strumenti offerti dalla moderna tecnologia fotogrammetrica l'analisi archeologica dei siti residenziali di Persepoli e Persagarde nel tentativo di capire la struttura e l'ubicazione degli insediamenti connessi con i palazzi regali.

L'evoluzione dell'immagine dei regimi dispotici orientali nella cultura greca rappresenta l'oggetto dell'analisi di Reinhold Bichler ("Der "Orient" im Wechselspiel von Imagination und Erfahrung: Zum Typus der "orientalischen Despotie""). Dal periodo del confronto diretto tra il mondo greco e quello orientale l'immagine del potere assolutistico si evolve e si definisce, sino ad ammettere, a seguito della vicenda di Alessandro e dei suoi successori, una sorta di fusione, una conciliazione tra i due mondi nella tradizione dell'ereditarietà del dominio universale. Le tematiche stereotipate elaborate dalla storiografia occidentale all'indomani delle guerre persiane, costituiranno sempre un serbatoio di valori comunemente condivisi cui attingeranno, adattandoli alle proprie esigenze, gli scrittori che successivamente, con l'avvento di Roma, dovranno spiegare il rinnovato vigore impresso al decadente mondo orientale dalla conquista arsacide.

Gli ultimi tre interventi del volume (E. Meyer-Zwiffelboffer, "Orientalismus? Die Rolle des Alten Orients in der deutschen Altertumswissenschaft und Altertumsgeschichte des 19. Jahrhunderts (ca. 1785-1910)" e J. Wiesehöfer, "Alte Geschichte und Alter Orient, oder: Ein Plädoyer für Universalgeschichte") riflettono su tematiche spiccatamente storiografiche: il ruolo della ricerca storica concernente il Oriente nell'ambito della storiografia antica passata e recente. Il contributo di Amélie Kuhrt ("'Ex Oriente Lux': how we may widen our perspectives on ancient history") dimostra analizzando alcuni aspetti della figura di Alessandro come lo studio del mondo orientale sia in effetti indispensabile per approfondire la conoscenza di molte problematiche di quello classico.

La Kuhrt nel suo contributo, non a caso scelto dai curatori per concludere, quasi suggellare l'intera raccolta, interpreta mirabilmente l'idea che sta alla base dell'intero libro. Non è più lecito ragionare secondo vecchi schemi in termini di mondi separati o di percorsi evolutivi indipendenti. La ricerca storica ha dimostrato e gli articoli raccolti in questo volume hanno una volta di più ribadito la complementarietà e l'importanza dei contatti reciproci tra il mondo classico e quello orientale.

Il ruolo di tali interferenze nell'ambito della parallela evoluzione delle due realtà deve essere tuttavia ancora definito con precisione. Ed è forse questo dubbio sulla reale portata di tali interferenze a celarsi dietro il significativo quesito posto a titolo dell'intera raccolta: Getrennte Wege?. Sappiamo che i due percorsi evolutivi non furono del tutto separati. Ciò che sfugge ancora è il reale significato delle strade che, come si è visto, permettevano di passare dall'uno all'altro.

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