Wednesday, February 26, 2014

2014.02.42

Pascale Paré-Rey, Flores et acumina: les sententiae dans les tragédies de Sénèque. Collection Études et de Recherches sur l'Occident Romain, 41. Lyon: CEROR, 2012. Pp. 432. ISBN 9782904974434. €45.00 (pb).

Reviewed by Rita Degl'Innocenti Pierini, Università degli Studi di Firenze (rpierini@unifi.it)

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Il volume è incentrato su un tema di grande interesse per i lettori delle tragedie di Seneca, l'uso delle sententiae pervasivamente presenti nel tessuto argomentativo e nella trama drammaturgica: l'ampio studio, che deriva da una tesi di Dottorato (vd. p. 7), è diviso in tre parti a loro volta suddivise in dieci capitoli, seguiti dalla Bibliografia e da un Classement thématique des 'sententiae' (pp. 375-394).

L'approccio dell'Autrice tiene debitamente conto del fatto che la sententia in un filosofo come Seneca costituisce parte integrante del suo "stile drammatico" anche nell'esperienza prosastica, ma si impegna, non a torto, a valorizzare maggiormente la componente scenica, tesa, attraverso il dettato sentenzioso, a dare una particolare coloritura espressiva ai personaggi: la Première partie, pp. 15-125, è intitolata Racines: nature logique, rhétorique et théâtrale des sententiae ed è dedicata ad illustrare i presupposti letterari, che sono alla base della trattazione, a partire dal valore stesso da attribuire al termine sententia, per poi passare ad un primo tentativo classificatorio dei materiali, tematica questa che, a mio parere, è il vero snodo cruciale di tutta la problematica affrontata, giacché è materia estremamente difficile da trattare e soprattutto da rendere in qualche modo sistematica (in un autore come Seneca che non è sistematico neanche nelle opere filosofiche). Infatti, a mio parere, non basta affrontare minuziosamente tutto il ventaglio delle possibilità per rendere realmente edotto il lettore su come verranno poi scelte le sententiae inserite in quello che l'Autrice definisce il Corpus sententiarum e che leggiamo alle pp. 39-83: lo sforzo di chiarire la metodologia intrapresa è senz'altro notevole, ma non sempre appare cogliere nel segno. Infatti è particolarmente difficile distinguere, per esempio, il piano contenutistico da quello formale, così come talvolta la selezione appare caratterizzata da un approccio che appare in qualche modo soggettivo: a p. 31 s. sono enunciati una serie di criteri di elaborazione del materiale offerto nel corpus, i cosiddetti ''marcatori' (avrei aggiunto forme come solet/solent, che costituiscono certamente un forte indizio di ricorsività gnomica, frequentissimo in Ovidio e molto presente anche in Seneca tragico) e i più importanti sono sintetizzati nella generalizzazione, la brevità e la forza creativa. Le sententiae sono ordinate secondo la sequenza delle tragedie nell'edizione C.U.F. curata da Chaumartin, ma ritradotte dalla Paré-Rey in modo da rispettare criteri certi di uniformità e di eufonia (vd. quanto osservato a p. 84), e quindi per evidenziare maggiormente il loro carattere gnomico: in alcuni casi si avvicinano e si confrontano passi di altri autori selezionati per il loro contenuto gnomico, anche se non sempre appare del tutto evidente il criterio adottato nella scelta. Dato che poi alcune di queste sentenze sono più ampiamente discusse in seguito, avrebbe reso più facile la consultazione del volume aggiungere nelle note del corpus i rimandi alle pagine (che invece i lettori devono ogni volta ricavare dal conclusivo Index locorum, pp. 395-413) e anche all'indice tematico, che è fornito alle pp. 375-394.

Il nucleo del lavoro, come dicevo, è costituito l'elenco delle sententiae e quindi mi sembra opportuno fare qualche osservazione puntuale in merito soprattutto a questa sezione, anche se, come è ovvio, nell'apprezzabile tentativo di classificazione c'è spazio per valutazione soggettive sia in merito alla scelta delle sentenze sia soprattutto dei materiali posti a confronto definiti des sources possibles ou de leurs imitations proches, cioè testi che abbiano un approccio sentenzioso definito (le mie considerazioni qui di seguito vogliono essere contributi di lettura):

p. 40 Herc. 201 alte virtus animosa cadit: qui manca ogni confronto, ma il motivo andava almeno1 ricondotto ad Agam. 100-101, esaminato a p. 71 con una serie di confronti, mentre invece poi il verso viene trattato brevemente in seguito con andamento del tutto discorsivo e solo tematico (vd. infatti pp. 175; 192; 222) relativamente alle sentenze corali, agli snodi concettuali o alle sentenze che arieggiano lo stoicismo. Del resto nello stesso coro dell'Hercules pochissimi versi prima incontriamo quella che a mio parere risulta una sentenza a tutti gli effetti, v. 198 venit ad pigros cana senectus e che invece, pur essendo concettualmente speculare,2 non trova spazio nell'analisi qui offerta.

p. 43 Herc. 437 Non est ad astra mollis e terra via: oltre ai passi riportati dall'Autrice, credo che si potrebbe qui vedere un'allusione al tema proverbiale della difficile via della virtù sviluppatosi da Esiodo in poi e non casualmente presente nella topica del racconto di Ercole al bivio (vd. Xen. Mem. 2.1.21-34).

p. 44 Herc. 745-746: per il tema analogo, vd. anche Sen. Phoen. 328-330, dove le parole sono segnate da ironia tragica.

p. 44 s. Herc. 870b-872: sono riportati una quantità notevole di luoghi paralleli di vari autori, mettendo sullo stesso piano analogie formali (come la coppia polare occasus et ortus) con il tema di meditazione, che riguarda il motivo topico che tutto ciò che è terreno è destinato alla morte; a proposito di questo sono raccolti passi senecani formalmente molto diversi e non tutti di andamento sentenzioso (come nat. 2, 59, 6), ma a proposito di Sen. Polyb. 11, 3 andava segnalato che qui Seneca cita, quasi letteralmente, un verso tratto dal Telamo di Ennio (scen. 312 V2 ego cum genui tum morituros scivi et ei rei sustuli presente anche in Cic. Tusc. 3, 28. Il testo greco del frammento (Eur. fr. 964 N2) è citato in Plutarco e Galeno; si tratta di un detto attribuito sovente ad Anassagora (Diog. Laert. 2, 55), ma che ricorre anche per altri personaggi, come Pericle o Senofonte (si veda infatti Val. Max. 5, 10, 1 ext.). Quindi un verso divenuto topico e quasi proverbiale.

p. 46 Troad. 161-162 felix quisquis bello moriens / omnia secum consumpta tulit: non si confrontano passi paralleli, ma i versi possono essere considerati come la combinazione di due famosi luoghi, il celebre passo virgiliano (Verg. Aen. 2, 93-95 O terque quaterque beati, /quis ante ora patrum Troiae sub moenibus altis / contigit oppetere!) unito ad tema filosofico che caratterizza il titanismo senecano in nat. 6, 2, 9 si cadendum est, cadam orbe concusso, non quia fas est optare publicam cladem, sed quia ingens mortis solacium est terram quoque uidere mortalem.

p. 47 Troad. 332 praeferre patriam liberis regem decet: queste parole di Agamennone sul sacrificio di Ifigenia, citate qui senza confronti (ma vd. anche p. 108 dove si cita l'Hecuba euripidea), dimostrano la dipendenza da un motivo gnomico presente nell'Ifigenia in Aulide euripidea, vv. 446-450, ma soprattutto in un bel frammento sentenzioso enniano sullo stesso tema scen. 228-9 V2 Plebes in hoc regi antistat loco: licet / lacrumare plebi, regi honeste non licet. p. 48 Troad. 400 tempus nos avidum devorat et chaos: oltre ai passi ovidiani citati interessante il sentenzioso inizio dell'epigramma pseudosenecano AL 224 Sh. B Omnia tempus edax depascitur, omnia carpit (seguito poi dalla descrizione del caos cosmico).

p. 51 Troad. 912 b-913a: il passo euripideo confrontato non corrisponde al concettismo del paradosso senecano di Elena, che 'teme' la patria, caratterizzato da climax ascendente.

p. 53 Phoen. 631 b-32a Et spes et metus / fors caeca versat: andava segnalato che sono accumunati due concetti tipicamente senecani, che turbano la tranquillità dell'anima (tema senecano, come nell'emblematica epist. 5, 7, citata a p. 55 a proposito di Sen. Med.163, ma già tema oraziano, vd. almeno epist. 1,4) con un motivo topico e proverbiale, come la Fortuna cieca che le domina, sul quale soltanto si sofferma l'Autrice (era da segnalare soprattutto la lunga descrizione di Fortuna in un lungo fr. tragico di Pacuvio, vv. 366-376 R2).

p. 54 Phoen. 655-56a: sono versi indubbiamente da ricollegare al tema del più celebre frammento acciano oderint dum metuant, analizzato alle pp. 109 s.

p. 56 Med. 176 Fortuna opes auferre, non animum potest: non si producono passi paralleli, ma alla base c'è una sentenza del teatro arcaico, precisamente Accio, vv. 620-21 nam si a me regnum Fortuna atque opes /eripere quivit, at virtutem nec quiit.

p. 57 Med. 431-32: l'inizio del passo rimanda all'opera filosofica, alla deprecatio per la morte del giovane fratello di Polibio in Sen. ad Pol. 3, 1 O dura fata et nullis aequa virtutibus!.

p. 59 Phaedr. 127b-28a: non mi sembra che si possa definire una gnome, ma si riferisce ad una situazione contingente del dramma.

Mi fermo qui, ma altri esempi si potrebbero aggiungere, perché, come ho già detto, alcune formalizzazioni delle immagini sentenziose possono aprirsi ad un margine di soggettività: rimane comunque un lavoro utile e che costituisce un valido avvio alla discussione. Più diluite e discorsive sono le numerose pagine successive, pp. 85-340, che avrebbero acquistato in densità e profondità, se avessero maggiormente dialogato con la ricca bibliografia critica sulla tragedia senecana: non di rado si ha l'impressione che l'ampia Bibliografia citata in calce al volume sia lì elencata più che utilizzata volta per volta nell'approccio ai singoli versi, anche molto discussi; per fare solo un esempio, la famosissima sententia acciana Oderint dum metuant, è esaminata alle pp. 109 ss., ma si cita solo l'edizione di Accio curata dalla Dangel, senza utilizzare l'importante volume di Mazzoli, Seneca e la poesia, che pure è presente in bibliografia e che avrebbe fornito non pochi spunti di riflessione.

La Bibliografia finale (pp. 341-373) è ampia, ma risulta difficile da consultare perché divisa in sezioni (risente forse della stesura della tesi, da cui deriva). Qualche lacuna bibliografica mi sembra da segnalare: per meglio documentare la presenza di frasi gnomiche nella tragedia arcaica latina, sempre importante A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana, Torino 1979 (vd. per es. p. 10, dove si accenna alla bibliografia sulla tragedia arcaica) e G. Garbarino, Roma e la filosofia greca dalle origini alla fine del II secolo a.C., voll. I-II, Torino 1973. Manca poi un'opera recente, che tratta ampiamente di argomenti analoghi: i tre volumi a cura di E. Lelli, Paroimiakós. Il proverbio in Grecia e a Roma, Pisa-Roma 2009-2011, con molti contributi utili, seppure di vario livello, sul teatro greco e latino nonché su Publilio Siro. Inoltre prevale l'impiego delle edizioni CUF, che certo sono importanti, ma per Seneca prosatore fanno testo nella comunità scientifica le edizioni OCT curate da Reynolds e per Seneca tragico partire dal testo di Zwierlein sarebbe stato talvolta importante.

Come si evince dall'articolata e complessa griglia tematica, che emerge dai titoli dei capitoli e dei paragrafi, e che certo non è qui possibile riprodurre e discutere per esteso, non manca nel saggio una sottile tessitura argomentativa e attenzione verso i fenomeni stilistici e fonosimbolici: un libro utile dunque, che offre numerosi spunti per l'approfondimento di testi ricchi e complessi come le tragedie senecane, la cui costante presenza nel panorama attuale della critica ne attesta il sicuro interesse.3



Notes:


1.   Qui si poteva citare il noto contributo di C. Zintzen, Alte virtus animosa cadit. Gedanken zur Darstellung des Tragischen in Senecas Hercules Furens, in E. Lefèvre (hrg. von), Senecas Tragödien, Wege der Forschung 310, Darmstadt 1972, 149-209.
2.   Mi permetto di rimandare ai materiali di confronto presenti in un mio studio Venit ad pigros cana senectus. Su un motivo dei cori senecani tra filosofia ed attualità, in L. Castagna (a cura di), Nove studi sui cori tragici di Seneca, Milano 1996, pp. 37-56 (poi con aggiunte in Tra filosofia e poesia. Studi su Seneca e dintorni, Bologna Pàtron 1999, pp. 59-77.
3.  Segnalo alcuni refusi: p. 29 Quintien=Quintilien;48 pmnia=omnia; pecasse=peccasse; 347 i gnomologici, richeza= gli gnomologi, ricchezza; 348 manoscrita=manoscritta; 349 techniche=tecniche;353 legitimazione=legittimazione, conscienza=coscienza; 358 Hippolito d' =D'Ippolito (manca l'indicazione della rivista=QCTC VI-VII 1988/89); 361 de la= della; 363 dramatica= drammatica, retorica =rhetorica.

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