Sunday, January 30, 2011

2011.01.41

Alfred Breitenbach (ed.), Kommentar zu den Pseudo-Seneca-Epigrammen der Anthologia Vossiana. Anthologiarum Latinarum parerga 2. Hildesheim: Weidmann, 2009. Pp. x, 653. ISBN 9783615003666. €128.00.

Reviewed by Rita Degl'Innocenti Pierini, Università degli Studi di Firenze (rpierini@unifi.it)

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Il commento di Breitenbach esce a due anni dalla pubblicazione sempre in Germania di un buon commento della stessa raccolta, curato da J. Dingel (si veda quanto osservavo in GFA 12, 2009 http://gfa.gbv.de/z/2009). Il ritardo di questa mia recensione è imputabile in parte al fatto che, pur constando il commento di Breitenbach di 653 pagine, dal Vorwort si evince che sarebbe stato seguito da una monografia, con il testo, la traduzione e l'inquadramento degli epigrammi: mi sembrava indispensabile prenderne visione (Die Pseudo-Seneca-Epigramme der Anthologia Vossiana: ein Gedichtbuch aus der mittleren Kaiserzeit, Spudasmata Bd. 132. Hildesheim; Zürich; New York 2010. ix, 270 p.). A consolidare il rinnovato interesse per questa silloge, si nota anche l'uscita del quinto volume senecano della collezione Utet (Torino 2009, diffuso nella primavera 2010), dove Anna Maria Ferrero cura testo, traduzione, note, con ampia e documentata Introduzione.

Il compito del recensore si presenta complesso, dato che ci troviamo di fronte ad un commento monumentale, ben strutturato nelle sue articolazioni, ottimamente documentato nell'apparato bibliografico e ricco di osservazioni sempre chiaramente elaborate: quindi ogni mia valutazione successiva dovrà essere letta alla luce di questo giudizio estremamente positivo sulla validità e la ricchezza del materiale prodotto in un volume destinato a fare testo. Le problematiche e i dubbi dipendono a mio parere dalla complessità stessa dei testi commentati, giacché il corpus costituisce un nucleo importante dell'Anthologia Latina, formatasi a Cartagine fra il V ed il VI sec., destinata poi, passando in Occidente, a frantumarsi in numerosi florilegi. Stabilire un criterio coerente per pubblicare questi testi di varia epoca e natura ha sempre costituito una preoccupazione per gli editori: gli studiosi più recenti decidono di pubblicare secondo le antologie presentate dai singoli codici, quindi per esempio il Vossianus è edito nella recente edizione curata nel 2001 da Zurli, che Breitenbach riproduce nel suo commento. Il problema della paternità senecana non può essere evidentemente risolto sulla base dei manoscritti, ma si presuppongono quindi, come sembra naturale per un'antologia, testi di origine varia e forse di epoca diversa, avvicinatesi nel tempo per vicissitudini non facilmente ricostruibili. Anch'io nei miei studi di qualche anno fa mi sono ispirata alla linea interpretativa prodotta dagli studi di Tandoi e Timpanaro, valutando caso per caso, cercando di dimostrare, se non l'autenticità, almeno l'antichità di alcuni di questi componimenti, studiandoli in relazione al clima culturale della tarda età giulio-claudia o dell'inizio dell'età flavia: questo metodo appare alla base anche dell'edizione della Ferrero cui accennavo prima.

Innovativa si presenta la recente ipotesi di Holzberg, che sostiene che gli epigrammi possono "essere paragonati nella loro totalità a un liber carminum romano" e l'unico autore, che si fingerebbe Seneca modellandosi sulla persona di Ovidio esule, presupporrebbe Marziale e si collocherebbe quindi non anteriormente al primo terzo del II secolo d.C. La successione dei testi rispecchierebbe uno schema biografico di Seneca, ma mi pare che abbia ragione Dingel a mostrare scetticismo: la tesi del gioco letterario, per avere consistenza e credibilità, dovrebbe appoggiarsi almeno su noti dati biografici, presenti in una vita antica dell'autore, sulla quale il falsario costruirebbe il suo libro poetico. Poco coerenti con una scansione e collocazione biografica dei testi mi sembrano sia i componimenti erotici sia quelli sulle guerre civili, come del resto anche l'elegia sulla spes e gli epigrammi dedicati a temi storici diffusi nella coeva scuola di retorica.

Breitenbach con questo monumentale commento, che, per la ricchezza di documentazione e per l'accuratezza editoriale, diventerà sicuramente, e non a torto, testo di riferimento nei prossimi anni, sembra decisamente presupporre un unico autore del secondo secolo. A mio parere la dimostrazione di un'unità d'autore è ancora doverosa per un insieme di testi tramandati in un'antologia. Delle 613 pagine del volume solo 16 sono dedicate ad un' 'Introduzione' di carattere generale, dove al paragrafo 3, pp. 12-14, si ipotizza con qualche esempio, per la verità non dirimente, come verisimile una dipendenza da Marziale (un ulteriore caso, per fare un solo esempio, è segnalato a p. 502, dove si parla di 'autore' degli epigrammi senecani), ma anche da Silio Italico, Giovenale e Floro (nel volume del 2010 Breitenbach sviluppa un'ipotesi relativa a Floro). Forzando talvolta i nessi tra i componimenti con raccordi molto ricercati, ma di difficile dimostrazione (vd. per es. p. 310 e ss.), Breitenbach sembra escludere del tutto che ci possa essere un nucleo senecano e nell'Introduzione non riporta le testimonianze antiche che accreditano Seneca come autore di epigrammi e non menziona, se ho ben visto, i testi di carattere epigrammatico dell'Apocolocyntosis. Questi continuano a sembrarmi elementi importanti nel valutare la complessa questione della paternità degli epigrammi: si tratterà di indagare caso per caso la minore o maggiore probabilità che i componimenti siano del filosofo, o che siano attribuibili ad un imitatore più o meno vicino nel tempo, attenendosi comunque a dei criteri di probabilità, che sono stati costantemente invocati nel giudicare la letteratura pseudoepigrafa (ritengo ancora valido metodologicamente A. Ronconi, 'Introduzione alla letteratura pseudoepigrafa', in Tra filologia e linguistica, Roma 1968, 233-264).

Dopo una breve Einleitung che è articolata in sei punti (1. 'Anthologia Latina, Anthologia Vossiana und Seneca-Epigramme'; 2. 'Struktur'; 3. 'Bezüge zu anderen Autoren'; 4. 'Metrik, Sprache und Stil'; 5. 'Abfassungszeit und Autorschaft'; 6. 'Zur Überlieferung und zur Benutzung des Kommentars'), Breitenbach commenta gli epigrammi, pubblicando il testo dell'Anthologia Vossiana stabilito da Zurli, senza riprodurne l'apparato critico, ma discutendolo criticamente e talvolta non adottandolo (molti problemi risultano approfonditi nel volume successivo), facendo seguire ogni componimento da utilissimi riferimenti bibliografici sintetici, divisi in sezioni ben articolate, che rimandano alla bibliografia pubblicata per esteso alle pp. 614–636. Il commento puntuale è sempre preceduto da un'introduzione articolata in sezioni diverse a seconda della tematica: qui si trovano anche importanti analisi che servono a raccordare tra loro epigrammi affini, confronti con gli autori latini e, cosa molto importante, con gli epigrammi greci. Mi limito ad un solo esempio: molto interessante è l'introduzione agli epigrammi 2 e 3 sulla Corsica (pp. 26-29), dove con efficace sintesi si individuano le strutture allocutive e di preghiera presenti nel corpus, nonché la presenza di motivi sepolcrali e il rapporto con il modello ovidiano. Qualche volta una certa sovrabbondanza del commento può rischiare di allontanare il lettore dalle questioni principali: per fare un esempio, trovo prolissa alle pp. 336-338 la discussione testuale relativa a tumidis... papillis/capillis.

Mi limito a qualche nota marginale:

1: questo epigramma così 'senecano' per la concezione del tempo e così stoico per l'ekpyrosis meritava qualche ulteriore confronto senecano: v. 5 per pulcherrima utile citare epist. 90, 42; v. 6, oltre a Sen. Marc. 26, 6, che già proponevo in un mio studio1 avrei evidenziato un espediente stilistico caro a Seneca prosatore, l'uso pregnante di suus accentuato dalla posizione distaccata nel verso, che implica la compattezza stoica del cosmo. La sentenza dell'ultimo distico è tipicamente senecana e conferma quanto autorevolmente scrive in generale Traina (Lo stile 'drammatico' del filosofo Seneca, Bologna 19874, 35): "la mano di Marziale diede forma metrica alle sententiae senecane". Il fatto che un libro fondamentale sullo stile di Seneca manchi nella bibliografia, insieme ad altri contributi come quelli di A. Setaioli (in particolare penso a Facundus Seneca, Bologna 2000), conferma l'impressione che il commento di Breitenbach tenda ad allontanare i componimenti dall'ambiente degli Annei.

2: p. 26 s. non mi sembra rilevante il confronto proposto con Teognide, perché il poeta greco invoca Cirno nelle sue poesie, mentre Seneca invoca la Corsica, il cui nome greco era Cyrnos: non basta a suffragarlo la probabile presenza di Teognide fra i modelli di Ovidio esule.

5: sul tema caro alla scuola di retorica e alla propaganda antitirannica dell'esecrazione dei re persiani (vd. anche l'epigramma 35), la presenza di Erodoto come fonte è quasi certa in Seneca filosofo, come mi sembra dimostri bene per altre vicende A. Setaioli, 'Episodi erodotei nella narrazione senecana', in Seneca e i Greci, Bologna 1988, 485-503. Utile per il tema anche il contributo di M. Frassoni, 'Serse e l'Ellesponto: da Eschilo (Pers. 745-50) ed Erodoto (VII 35) a Giovenale (X 173-187)', in O. Vox (ed.), Memoria di testi teatrali antichi, Lecce 2006, 105-152.

6: a proposito del 'nemico' in Ovidio esule (vd. il commento a p. 55 s.), mi permetto di rimandare a quanto ho scritto anche in 'Le tentazioni giambiche del poeta elegiaco' (Ovidio esule e i suoi nemici, del 2003, poi con qualche aggiornamento in Il parto dell'orsa, Bologna 2008, 79-101); le considerazioni lì svolte si possono estendere anche ad un epigramma come questo, nel cui testo tormentato non accetterei il tradito occisum iugulum, che è molto duro, ma opterei piuttosto per la tradizionale correzione in occisi.

9: su quest'epigramma rivolto a Crispo (e anche su 38) si può aggiungere alla bibliografia G. W. Mallory Harrison, 'Claudian Castores: Seneca and Crispus', in S. N. Byrne-E.P. Cuevas (ed.), Veritatis amicitiaeque causa. Essays in honor of Anna Lydia Motto and John R. Clark, Wauconda 1999, 113-128, che si pronuncia per la senecanità dei componimenti.

10: per la difesa di apex in questo contesto (vd. p. 103), addurrei come paralleli utili per definire il valore di 'capo', Cic. Cato 60; Hor. carm. 1, 24, 14; 3, 21, 20; Stat. silv. 5, 2, 47.

12: per la definizione di Viriato come Lusitanus... latro non attribuirei eccessiva importanza a Floro, citato sia a p. 135 che 141, ma mi sembra utile aggiungere che per Seneca in ben. 1, 13, 3 latro era il vesanus adulescens e cioè Alessandro. Su questo epigramma, mi permetto di rimandare alle più ampie considerazioni svolte in un mio articolo in corso di stampa su Paideia 2010.

14: Breitenbach mette giustamente in luce (p. 155) che il componimento presenta qualche analogia col discorso di Pitagora in Ovidio met. 15; importanti considerazioni sul tema della fine delle città in Ovidio (e non solo) in M. Labate, 'Città morte, città future: un tema della poesia augustea', Maia 43, 1991, 167-184. Sui sepulcra urbium e quindi degli oppidum cadavera un primo noto esempio è nella lettera consolatoria di Servio Sulpicio Rufo a Cicerone fam. 4, 5, 4.

15+15a: in questi difficili componimenti forse qualche ulteriore elemento di valutazione potrebbe essere ricavato da considerazioni sul tema della lapidazione, che si somma a quello ovidiano dei veleni dell'invidia. Per una rassegna di passi è ancora utile A. S. Pease, 'Stoning among the Greeks and the Romans', TAPhA 38, 1907, 5-18.

18: all'ampia bibliografia andrebbero aggiunte le importanti considerazioni di F. Citti, 'Spes dulce malum. Seneca e la speranza', in Colloquio su Seneca, Trento 2004, 35-64; inoltre a p. 187 nella sezione L integrare anche Mattiacci 2008, citato in bibliografia.

22: anche qui da integrare a p. 308 con Mattiacci 2008, che offre significativi confronti di poesia elegiaca.

24: il componimento, che presenta importanti analogie con Marziale (che io continuo a credere almeno qui posteriore a questo testo), è dedicato ad una fanciulla chiamata Arethusa, che Breitenbach sostiene dipendere direttamente da Ovidio met. 5 (vd. p. 330 ss.), mentre a me sembra da chiamare in causa Properzio 4, 3, giacché anche la Galla di 42 appare nome properziano, che evoca la casta e dolente sposa di Postumo celebrata in 3, 12. Si tratta di esempi coerenti, perché entrambi riferiti al tema dell'eros coniugale e della castità femminile: l'autore degli epigrammi sembra utilizzare nomi di spose fedeli properziane per donne del tutto opposte sul piano morale.

Mi sono limitata in breve a qualche piccolo esempio:2 è impossibile dare conto delle numerose osservazioni che un così ampio e ricco commento ancora suggerirebbe e dei cospicui contributi esegetici che produce. La materia è complessa per la complessità stessa della questione attributiva, da cui è difficile prescindere: certamente il lavoro di scavo di Breitenbach offrirà un'utile base di discussione non solo per gli epigrammi 'senecani', ma per tutta la produzione epigrammatica di età imperiale.



Notes:


1.   Tra filosofia e poesia, Bologna 1999, 123 ss.
2.   Segnalo qualche raro refuso: p. 131 ultimo capoverso, corrige Polyb. 2,4-3, 1 in Helv.; p. 175 corr. lucidità in ludicità; p. 473 ss. tutti i titoli correnti dell'epigr. 39 corr. formasa in formosa; p. 501 corr. garullitas in garrulitas.

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